L'economia del petrolio bianco agio o conquista?
di Anna Cucchi
I pascoli, il ferro, il legname
Per coloro che non l'hanno mai visto, in cima alla Val di Fondra gruppi raccolti di case si adagiano in una conca di prati, in cui i colori degli orti si alternano a quelli dei pascoli. Le montagne dominano scure di rocce silicee e ferruginose, i boschi avanzano compatti verso i prati e si estendono fino a quando le quote più alte impediscono loro di sopravvivere. Nel punto più basso della conca scorre lento un piccolo fiume, alimentato in alto da tanti laghetti naturali. Questi danno vita a una fitta rete di rigagnoli che, lasciandosi trasportare dalla pendenza, giungono fino a valle e confluiscono nell'unico letto di quello che pochi chilometri dopo diventerà il fiume Brembo. E' la Carona dei primi anni '20 con le sue quattro contrade, e queste sono state le risorse principali dell'economia del paese che hanno modellato le donne coltivatrici e gli uomini minatori e boscaioli, che hanno consentito di allevare qualche bestia per famiglia e in collettività farvi del formaggio, far funzionare i mulini, le fucine e
i magli.
L'acqua
Alla fine degli anni '50 si completa il disegno della Società Lombarda per la Distribuzione di energia elettrica (Vizzola SpA) del sistema idroelettrico di Carona. Il periodo bellico ha dato una spinta allo sviluppo del cosiddetto "petrolio bianco"; pian piano viene ipotizzato uno sfruttamento delle acque dalla pianura verso le montagne e sul territorio lombardo prende forma un sistema composto da tre gruppi di centrali: quello del Ticino, quello della Valtellina e quello della Valle Brembana. Quest'ultimo gruppo è ideato per la copertura delle "punte" di carico della domanda di energia elettrica richieste principalmente dell'apparato industriale. Sul fiume Brembo vengono così realizzate tre
centrali, a Lenna, Bordogna e Carona. Quest'ultima era protagonista nella regolazione delle frequenze, paragonabile a uno "chef d'orchestre"
della produzione e distribuzione di energia elettrica (Vizzola, 1974). Il suo bacino è composto da 10 serbatoi stagionali, il cui funzionamento può essere brevemente descritto come segue. Vi sono otto laghi artificiali che raccolgono l'acqua durante la stagione calda e di scioglimento delle nevi, disposti a raggiera dal lago del Diavolo a quello del Pian Casere. Al centro di questo ventaglio è situato il lago di Sardegnana che tramite tre canali collettori scavati tra le pareti rocciose delle montagne circostanti, riceve l'acqua accumulata dagli altri laghi. Dalla diga di Sardegnana si diparte quindi una condotta forzata che si vede sulla destra a monte del paese, l'acqua fa un salto di 650 m di dislivello e cade nella centrale di Carona, dove viene trasformata in energia elettrica. In mezzo alla conca del paese il piccolo fiume ha lasciato posto a un lago artificiale ultimato nei primi anni '30 da cui parte un ulteriore canale collettore che, dopo aver raccolto l'acqua di altri sette rigagnoli, si prepara al grande tuffo nella centrale di Bordogna. Alla fine degli anni '50 i numerosissimi laghetti tra quota 1700 e 2100 slm sono stati trasformati in grandi serbatoi di regolazione delle acque e questa risorsa ha iniziato ad essere sfruttata molto intensamente.
La diga Fregabolgia
- Anni di costruzione: 1950/ 1952 - Persone coinvolte: piu' di 1000
- Professioni svolte: ingegneri, geometri, minatori, muratori, manovali, tecnici per la manutenzione delle dighe e dei sentieri, artigiani che tagliavano i sassi
- Materiale utilizzato: pietra e malta di cemento, calcestruzzo, inerti del Cavasabbia, conci di pietra della Conca del Calvi, sassi bolognini di Domodossola
- Trasporto del materiale: camoin, teleferiche, ferrovie, binari, barelle, gerle, ponteggi di legno
- Vitto e alloggio: baracche come dormitori, cucine e mense per gli operai
- Periodo lavorativo: da inizio Marzo a Santa Lucia
- Ore di lavoro: 10/ 12 ore al giorno da lunedi' al sabato, straordinari la domenica mattina
- Retribuzione: 3 lire e venti centesimi all'ora, in busta paga veniva sottratta la quota dei pasti.
La diga di Fregabolgia è stata l'ultima ad essere ultimata. Durante i lavori si sono istallate teleferiche, posti binari e realizzate nuove strade per il trasporto delle risorse naturali locali come la sabbia in località Cava Sabbia, e per quelle portate da fuori come i sassi bolognini di Domodossola.
Secondo le testimonianze per la costruzione della diga accorsero più di 1000 persone, "ce n'erano di tutti i paesi" che si stabilivano dall'inizio di marzo fino a Santa Lucia nei pressi dell'attuale Rifugio Calvi. Lì si possono ancora vedere (lontani sulla destra del lago e vicini sulla sinistra) le venti baracche usate come dormitoi, c'erano le cucine e la mensa degli operai, c'era anche un forno per il pane. Le donne come nella maggior parte delle economie di sussistenza, giocavano un ruolo determinante all'interno della famiglia. Il loro carico di lavoro era notevole: gestivano l'economia, l'organizzazione e le relazioni all'interno della casa, educavano i figli, badavano alle bestie, curavano i prati e coltivavano gli orti, alcune lavoravano negli alberghi.
Trasporto trasformatori e turbine |
La Diga di Fregabolgia in costruzione |
Durante la costruzione della diga la notte partivano da Carona con le gerle e lì portavano la spesa necessaria per la mensa degli operai e cambiavano le lenzuola nei letti delle loro baracche. Le famiglie restavano divise per gran parte dell'anno, gli uomini in cantiere e le donne nelle loro case; le poche fortunate si riunivano la domenica, ma non sempre gli uomini scendevano in paese, la distanza dalla diga è di circa due ore a piedi, si finiva il sabato sera dopo 10/12 ore di lavoro e la mattina del lunedì alle 7.00 si doveva essere sul posto, pena il licenziamento. L'economia delle dighe, agio o conquista? L'economia delle dighe ha modificato sostanzialmente il territorio montano e durante i lavori ha inciso profondamente sulla vita del paese. Per Carona il progresso del novecento si è presentato sotto forma di sbarramenti artificiali; è arrivato come straniero e si è istallato nel territorio, parte di un disegno molto più vasto che ha avuto origini nella Milano industriale e si è ampliato sempre di più coinvolgendo le comunità alpine lombarde. Il corso superiore del Brembo è stato oggetto di studi fin dal 1905, e così anche il suo piano di utilizzazione. Con l'ottenimento delle concessioni e l'acquisto dei terreni a pascolo, dei boschi e degli alpeggi, sono iniziati i lavori per l'ampliamento e la costruzione delle strade e dei sentieri per il trasporto dei materiali, posti i tralicci, tagliati gli alberi per il passaggio dei cavi, aperte cave per l'estrazione del materiale .. insomma un grande cantiere si è istallato tra le montagne. Tutto il paese viene coinvolto. Per i lavori la manodopera necessaria è quantitativamente importante, vista la tecnologia del tempo solo per la costruzione della diga Fregabolgia nel cuore dei lavori sono state coinvolte più di mille persone. Nel 1901 gli abitanti di Carona erano 625, per crescere fino a 738 a metà del secolo scorso; il paese diviene un polo attrattivo per i lavoratori dei paesi circostanti, che arrivano da ogni parte persino da Brescia e dal Veneto. La costruzione di queste opere ha permesso a Carona di svilupparsi, non solo di sopravvivere, ma di arricchire la propria economia, di essere un luogo di arrivi piuttosto che di partenze, come accadeva invece nei secoli precedenti in cui gli uomini lasciavano stagionalmente le famiglie per andare a lavorare in Francia come boscaioli o manovali.
Alla centrale hanno lavorato fino a ottanta operai, convenzionati per la spesa con il proprio spaccio aziendale. Alla fine dei lavori, alcune persone sono ripartite, altre si sono fermate e sposate con donne del posto; gli operai, avendo sviluppato una certa professionalità, hanno seguito le imprese nei loro nuovi progetti, a partire dalla vicina Valtellina. Oggi il telecontrollo delle centrali è effettuato dal posto di teleconduzione di Sondrio. Lo spaccio aziendale è stato chiuso definitivamente. Attraverso un monitor è possibile visualizzare la situazione delle acque nei vari serbatoi di carico, la tecnologia è avanzata a tal punto che il personale sul posto è dedicato alle attività di manutenzione, supervisione e pronto intervento fatta eccezione per i guardiani della sicurezza idraulica. A questo punto la riflessione mi porta a formulare il seguente quesito, che ripropongo a voi
lettori per stimolare proposte di azione e di sviluppo futuro. La popolazione ha modificato le proprie consuetudini adattandosi al grande mutamento
del momento, rispondendo al disegno imprenditoriale proposto dalla Vizzola spa attraverso la vendita delle proprie risorse prima e rispondendo alla richiesta di manodopera poi. Al di là delle rendite derivate e del momento di particolare posizione economico-strategica di Carona è necessario interrogarsi su cosa rimane ora, a cinquant'anni dalla chiusura del grande cantiere. Il complesso delle energie coinvolte, gli sforzi e le fatiche degli abitanti e insieme un sorriso nascosto ma condiviso che esprime la soddisfazione nel poter contribuire allo sviluppo del paese, corre oggi fugace in un filo dell'alta tensione. È possibile allora individuare un modello di riqualificazione del sistema idroelettrico realizzato, in grado di produrre un
valore aggiunto a questo territorio e alla società nella sua globalità?
Sicuramente un elemento da cui partire c'è, inconfutabile e questa volta appartenente strettamente alla popolazione di Carona: i suoni e gli odori del lavoro, il repentino cambiamento di paesaggio e tutti i ricordi legati a questa vicenda, la perdita di persone care, il periodo della
giovinezza e l'occasione di innamorarsi di persone venute da luoghi dove mai forse ci sarebbe stato modo di recarsi. Dare voce alle testimonianze
di coloro che hanno vissuto in prima persona o indirettamente questi anni così particolari della vita del paese, forse, può rendere unico il racconto della storia delle dighe e del loro funzionamento. Sarebbe bello che questo diventasse un motivo di incontro tra i passanti e gli appassionati di
quelle montagne, e coloro che quotidianamente le hanno vissute e le vivono. Per concludere, è necessario fare uno sforzo e riuscire a trovare un modo per rendere queste opere, che ormai hanno segnato profondamente il paesaggio montano, ricchezze; sviluppare un'attività che generi occupazione e che offra una possibilità in più ai giovani di restare nel proprio territorio, raccontandone la storia e preservandone i tratti identitari, riqualificando tutte quelle risorse che un tempo hanno permesso a Carona non solo di sopravvivere, ma anche di diventare un polo di attrazione per le persone provenienti da fuori.
Tratto dall'Annuario 2006 del C.A.I. alta Valle Brembana
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