Era quel tratto una terra di nessuno ove i briganti spadroneggiavano e dove non era consigliabile avventurarsi da soli. Giunsero sotto il lungo porticato di Averara quando i doganieri iniziavano ad accendere le torce e subito Filippo si affrettò a chiedere notizie sul gruppo che li precedeva. Come temeva, erano partiti appena un'ora prima per anticipare la neve che sarebbe proba bilmente caduta nella notte. Era una decisione difficile : fermarsi voleva dire rinunciare a proseguire il viaggio mentre continuare significava intraprendere una solitaria marcia forzata esponendosi a seri pericoli. Il suo sguardo incontrò quello di Antonio, comprò qualche torcia dall'acre odore di pece e cera e si incamminarono sulla salita che portava al passo. Vedevano in lontananza le torce della carovana e affrettarono il passo convinti di raggiungerli. La notte era scura ma iniziò ad essere graffiata da piccoli cristalli di ghiaccio che rimbalzavano sul cappello e sulle mantelle delle due figure illuminate dalle torce. Avevano ormai recuperato metà dello svantaggio quando una voce sovrastò l'ansimare e lo scalpitare dei muli. " Avete qualcosa per noi nobile signore ? ". Era seduto con le gambe rannicchiate sopra una roccia all'interno di una stretta svolta della salita. I gambali di pelle di pecora stretti da legacci di cuoio erano fradici e coperti da fango e foglie mentre sulle spalle portava una spessa pelle conciata che non nascondeva due coltellacci infilati nella cintura. Filippo indietreggiò di un passo e mosse una mano verso il basto di Nero dove teneva infilata l'accetta che usavano per tagliare la legna per il fuoco. Non raggiunse nemmeno il manico che il secondo gli fu addosso da dietro. Doveva questi essere il capo perché mentre teneva serrato il collo di Filippo con un cappio di cuoio, dava ordini agli altri due per controllare i muli e il prezioso carico che trasportavano.
Di Antonio non si curavano nemmeno mentre per Filippo, che era ormai con le spalle a terra, era l'unico pensiero di quel momento; sperava solo che riuscisse a fuggire nel folto della boscaglia. Il bandito sopra di lui, che lo teneva fermo con un ginocchio sul petto, mise una mano sul manico del coltello che teneva a destra e, mostrando i denti marci sul davanti sfoderò un ghigno che sapeva di trionfo, di sberleffo e di disprezzo. Filippo guardava quegli occhi che gli avrebbero strappato la vita e in un istante li vide rovesciarsi indietro a mostrare tutto il biancore della cornea, vide la mascella irrigidirsi in una smorfia e una istante dopo era già con il naso sprofondato nel fango della strada. I due compari, vista la fine del loro capo e perduto il coraggio dei vigliacchi, quello degli altri, sparirono senza un suono tra i rovi. Filippo alzò lo sguardo verso il cielo della notte e incontrò il volto sorridente di Antonio. Teneva in mano il pesante bastone che serviva da supporto per il carico dei muli. " Chi no e' de chortesia .....". Quelle parole parvero a Filippo, dette non dal suo ragazzo, ma da un uomo maturo, un amico, un confidente con cui chiacchierare davanti a un buon bicchiere di vino. Continuando a sorridere Antonio gli tese la mano e recuperò la cavezza di Nero per riportarlo sul sentiero.
Quando ormai le torce davanti a loro erano a portata di voce, Filippo non sapeva se le gocce che gli rigavano le guance fossero gli ormai larghi fiocchi di neve che si squagliavano perdendosi tra la barba di due settimane, o se fossero gli ultimi barlumi di quella tristezza che si era ormai completamente sciolta dal suo cuore. Anno 1996. Dopo cinque secoli è ancora possibile ripercorrere i passi di Filippo ed Antonio ritrovando gli stessi luoghi. Palazzo Boselli a San Giovanni Bianco conserva il suo splendore medievale. La casa dei Colori, meglio nota come Casa di Arlecchino è meta ogni anno di migliaia di visitatori. Sulla scala d'ingresso spicca ancora l'affresco con la minacciosa scritta impressa sopra. Da qui, con una breve passeggiata tra i boschi, si raggiunge Cornello dei Tasso, inalterata isola di vita d'altri tempi. La Via Mercatorum, soppiantata dal ‘600 dalla strada Priula (sul cui tracciato si stende l'attuale statale della Valle Brembana) è ancora riconoscibile in alcuni tratti, sotto certi porticati sotto i quali alcuni frammenti di tempo sono rimasti impigliati per l'eternità. Tratto dall'Annuario C.A.I. alta Valle Brembana |
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