Mutan le Ombre che l'ora ci mostra - Mezzoldo (prima parte)
di Michela Lazzarini cl 4A Liceo Turoldo

Un tributo ai nostri anziani troppo spesso dimenticati ma resi più saggi dagli anni passati; a loro va questa ingenua storia e un ricordo sempre vivo nella nostra memoria. Alla mia carissima nonna Adelaide un ricordo, un augurio e un bene grandissimo!

Ero appena arrivata a Mezzoldo. Un viaggio interminabilmente pieno di curve mi aveva strappato alla rumorosa città e portato qui, in questo paesino raggrinzito, in una casa umida e spoglia. Sulla soglia ad attendermi trovai la nonna: dalle rughe sempre più fitte e dai capelli ormai candidi si poteva scorgere il tempo passato dall'ultima mia visita. La sua estrosità però era rimasta invariata, sfacciata, quella di sempre insomma, quella della mia nonna Adelaide, da tutti soprannominata Adde. Ti preoccupi dei tuoi anni? Non sai quanta gente alla tua età si sposa!? scherzai all'entrata. La nostra cena si svolse all'insegna dei miei continui lamenti riguardo la lunga e tortuosa strada di risalita: Avrò incontrato almeno una dozzina di centri abitati da quando mi sono fermata a chiedere informazioni ad Olmo al Brembo. - Dieci per la precisione Mi corresse; e proseguì con fare sfrontato: Acquacolda, Malpasso, Sigadola, Costa, Cà Bonetti, Cà Vassalli; più sopra Sparavera, Soliva, Cà Maisetti, per arrivare qui  a Cà Bereri. Se volessi potresti continuare con Scaluggio... No, no, va bene così, grazie! tagliai corto. Passai quella serata ascoltandola e meravigliandomi di quante cose sapesse; sono stata sciocca a pensare di trovare tutto il sapere sui libri di scuola! Quanta saggezza accarezza gli anni dei nostri anziani! Quanta cultura inedita! Quanta vita vissuta!

Contrada di Scaluggio
Mi spiegò che la nostra contrada, Cà dè Bèrèr o Bereri, inserita nel paese di Mezzoldo, doveva il suo nome probabilmente al bergamasco Bèr, sostantivo che può essere tradotto con qualcosa tipo "Transumanza". Proprio sotto i portici che fondano il nucleo di questa antica frazione, oggi al centro dell'abitato di Mezzoldo, da secoli, a detta di nonna Adde, viene ricoverato il bestiame al momento della salita estiva verso i monti e della discesa autunnale. Gli abitanti, non solo di Bereri ma anche della vicina "Court" di Cà Maisetti, erano pastori e allevatori, duramente e precocemente addestrati ai ritmi degli animali dai quali traevano la loro originaria economia attraversata da prodotti come latte, latticini, lana e carne bovina.

I pastori di Cà Bèrèr d'estate vivevano nelle stalle più alte e di più antico insediamento come l'Acqua, la Riva, il Castello e la Fraccia. Se vuoi fare un giro lassù la natura è rimasta più o meno incontaminata. Ci penserò risposi con la mia tipica svogliatezza cittadina. Secondo te, quando i pastori si sono insediati qui, in questa zona? Lo sai nonna?.
Contrada di Scaluggio

Non credi che se lo sapessi te l'avrei già detto, svampita? Non lo so. La gente di studio che viene ad esaminare quelle pietre sul muretto davanti alla nostra finestra dice che potrebbero risalire a prima di Gesù. E si affrettò a farsi il segno della croce. Non cambi mai!. Mi condusse fuori dove la debole luce della sera illuminava il muretto composto in superficie da lunghi lastroni di pietra bruna. Li chiamano Sass Linguent, ma non chiedermene il motivo... sono molto comuni; infatti guarda che tutti i portici sono formati dalle stesse pietre . Solo qualche mesetto dopo riuscii a scoprire che quel materiale aveva nome "Micacisto", minerale non eccessivamente duro ma compatto, ideale per essere inciso. Esso probabilmente abbondava anche parecchi secoli or sono, dal momento che, stando agli studi più recenti, quelle grosse pietre  venivano scolpite a formare tante piccole coppelle. Riti pagani quasi certi, a detta della nonna. Storse il naso. Per fortuna che qualche cristiano ha pensato a ristabilire la nuova religione e si è ricordato di marcare alcune croci. Per fortuna ribattei che qualcuno ha salvato questo storico Ben di Dio al momento della costruzione degli arconi! Alzò le spalle come non avesse capito nulla di ciò che avevo appena detto e la seguii in casa.

Il giorno seguente era giovedì, il Giovedì Santo. Decisi di aiutare la nonna nelle pulizie della piccola casa. Lucidando le travi in legno del soffitto dovetti fare i conti con lunghe ed appiccicose ragnatele e grossi ragni prepotenti nel rivendicare il loro territorio. Il pavimento tornò lustro dopo molta fatica, così che il rosso del cotto s'infuocò come nuovo. Quando andai nel ripostiglio a riporre i miei attrezzi di lavoro, scoprii, maldestramente lasciato a giacere  per terra, un quadro polveroso. All'interno di esso una mappa mostrava la sua giovinezza, nonostante la polvere, confermata, tra l'altro, dalla scritta lasciata sul lato posteriore:

MEZZOLDO, IL 30 GIUGNO 1999. Chiesi subito spiegazioni:
Perché ti scaldi tanto? fu la sua reazione E' una piantina fatta dal Comune della nostra contrada per ciò che poteva apparire attorno al 1100-1200. Hanno lavorato sui resti che puoi vedere anche tu qua fuori. Stai tranquilla... qui non ci sono tesori da scovare! Si sbagliava.

Cà dè Bèrèr, in quel lontano Medioevo, non si componeva altro che di una decina di case in pietra attraversate dal porticato a sei arconi. Separate dal torrente Caraina, Cà di Maisis (Maisetti) e Cà Bereri erano continuamente in astio, lo stesso, forse un po' meno visibile, che dura ancora oggi vedendo i propri abitanti solcare e sfruttare il meno possibile il territorio altrui. Entrambe erano indipendenti. In particolare avevano un forno gestito da una famiglia scelta dalla comunità e che si teneva solo una piccola parte del proprio ricavato. Ovviamente vi era una fontana che dava da bere ad animali e persone. Non poteva mancare un oratorio, luogo in cui la gente si riuniva a pregare. Non ebbi occasione di verificare con mano la convinzione della nonna secondo la quale il lavabo presente nella sacrestia della Parrocchiale di Mezzoldo risultasse particolarmente simile ad uno ritrovato tra le mura dell'ex oratorio della contrada Bereri. La presenza di esso è segnalata poi da una crocifissione affrescata ancora presente. Purtroppo le intemperie hanno intaccato e rovinato l'affresco che, non si sa per quale motivo, rimane fuori dalla protezione del portico.
La parrocchiale di Mezzoldo
La parrocchiale di Mezzoldo
Infine, notizia che mi stupì parecchio, venni a conoscenza che il famoso portale visibile al centro di Cà Bereri era la sede della "Casa della Misericordia" Essa, posta su più piani, dava ospitalità alla gente più bisognosa ed era sovvenzionata dai possessori delle terre circostanti alla contrada, i quali erano obbligati a pagare alla comunità una somma per l'utilizzo di campi comuni. Una specie di tassa, insomma, che andava a beneficio dei più poveri del rione. Anche la scritta visibile sull'architrave del portone mi incuriosì: "OSTIUM NON OSTIUM".

Porta non dei nemici.. proposi alla nonna. Noto che stranamente il latino si studia ancora! Comunque la tradizione vuole che da quella porta si entri da amici e non da nemici . Era forse un avvertimento rivolto agli abitanti di Cà Maisetti? L'anno, anch'esso visibilmente ben inciso, riportava MDCXXXI: 1631. Risi pensando a quanto Mezzoldo fosse rimasto indietro nella corsa, sempre nuova, dell'arte e della cultura. Il Rinascimento di Leonardo era trascorso senza che nessuno, lassù in montagna, ne sapesse nulla. Ora a Roma stava esplodendo il Barocco, si stava ultimando la Basilica di San Pietro; casato Lazzarini, ex casa della Misericordia, conserva però tutti i tratti tipici della genuinità montanara. Il complesso è situato su più livelli attorno ad una ripida scala prima di pietra poi lignea. Il primo piano si compone di un grande spazio attorniato da piccole stanze. Anche il livello superiore è ricco di basse e pressoché buie stanzette. Niente a che vedere col secolo dei Lumi che stava per giungere.

Il pomeriggio di quello stesso giorno appresi cose ancora nuove. Incredibili! La mia curiosità mi spinse all'inseguimento di un rumore assordante e fastidioso che si presentava ad intervalli abbastanza regolari disperso per il paese. Scoprii allora, sotto una casa poco distante, una manciata di ragazzi che, gridando una frase in dialetto, si scatenavano girando una manovella di strani strumenti che vagamente mi ricordavano delle macine. Siamo i ragazzi dei Ringhecc! Tutti gli anni il Giovedì, Venerdì e Sabato Santo giriamo per le vie del paese e delle frazioni suonando porta per porta questo strumento di legno che si chiama Ringhet. Ce ne sono di tutti i tipi , disse il bambino rubandone uno al suo compagno, decorati, lisci, nuovi e anche quelli dei nostri nonni! Tutti hanno una manovella che mette in moto una ruota dentate che, fregando contro le pale, fa il caratteristico "casino"! E ricominciò: TRRR...

Poi altri ragazzini, probabilmente incuriositi dalla macchina fotografica che ero andata a prendere, mi si fecero attorno. Quello più alto, che voleva farsi chiamare "Capo numero Uno", mi parlò ancora della tradizione. Questa dei Ringhecc è un'usanza che sfiora la notte dei tempi. Mia nonna è convinta addirittura che ci sia sempre stata! Anche in altri paesi vicini come Piazzatorre, Valtorta o Roncobello si suonavano Ringhecc molto più piccoli, a una ruota sola, chiamati con nomi diversi; io mi ricordo solo le Garganelle! La cosa strana sta nel fatto che la tradizione si è evoluta solo in Mezzoldo, e con essa anche le dimensioni del Ringhet. Ora sono proprio pochissimi gli artigiani pazienti che li creano, più per il mercato del turista che per il vero uso! Solo più tardi, con l'aiuto di diverse testimonianze, potei capire a fondo la motivazione di un'usanza tanto insolita. Il compito di questi arnesi è quello di ricordare ai fedeli la funzione religiosa del Vespro alla sera, l'Avemaria del mattino e il Mezzogiorno. Tempo fa, come ora, nei tre giorni prima della Pasqua, le campane si dicono "legate", perciò i loro rintocchi non scandiscono più la vita del Mezzoldese. Il rumore viene dunque in aiuto alla memoria del Parrocchiano.


Mezzoldo
Mezzoldo


Mi informai anche sull'urlo che precedeva il fracasso e mi sentii rispondere da un giovanotto dai capelli rossi: Dipende a che ora suoniamo. Alla mattina attorno alle sette, il giovedì il venerdì sera annunciamo l' "AIMAREA" (l'Avemaria); a metà giornata "OL MESDE'" ( il Mezzogiorno), mentre il pomeriggio del sabato il nostro grido si fa più complicato perché si divide in tre più piccoli.

" PRIMA SECUNDA MESA GRANDA" "TERZ I BOCC" "I BOCC E L'OEUF"

Queste grida stanno a significare probabilmente le tre chiamate che le campane solitamente rivolgono alla gente, per concludersi con i Bocc, che è l'ultima chiamata prima della Campanella. L'analisi dell'ultimo urlo è la più incerta, probabilmente perché sono trascorsi molti anni e la pronuncia potrebbe essere cambiata. Alcuni paesani infatti sostengono si tratti di un augurio in qualche modo simile a quello che ci si rivolgeva alla domenica di Pasqua fuori dalla Chiesa: "Pasqua l'oeuf!". I Bocc invece potrebbero ancora rappresentare la chiamata delle campane così che le tre frasi messe assieme acquisterebbero un significato cronologico: il fedele prima della celebrazione pasquale poteva venire avvisato del suono delle campane, dei Bocc per poi concludersi col "PASQUA L'OEUF". Pensai ancora che era incredibile. Una tradizione cristiana, ora ormai in via d'estinzione, si era conservata però tanto integra nelle nuove generazioni nonostante non vi fosse nulla di scritto, nulla che la tutelava. Anche la nonna ricordò la sua fanciullezza trascorsa con quegli strani strumenti nelle mani. Allora il  numero di giovani volenterosi era molto maggiore, una sessantina circa. Tutti assieme, come oggi, avvisavano prima il centro del paese, poi si spostavano, in due gruppi separati, battendo le ore nelle frazioni di Sparavera e di Scaluggio, per un totale di sei viaggi in tre giorni. Che botta!

La contrada di Sparavera
Quella stessa sera lessi su un opuscolo illustrativo la probabile origine del nome "Mezzoldo". Decisi di appuntarmela, in quanto mi apparve piuttosto particolare. "Risalire a quando per la prima volta sia comparsa la denominazione "Mezzoldo" è particolarmente difficile, forse impossibile. Nei documenti, scritti in latino, delle visite pastorali degli Arcivescovi di Milano (quando Mezzoldo faceva ancora parte di questa diocesi), appare la dicitura "Medim altum" a specificare la più antica espressione "San Giovanni Battista in Valle Ulmi". La denominazione che appare a partire degli anni Trenta sulla guida ufficiale della Diocesi "Merium altum" come dizione latina di Mezzoldo è un più che probabile errore di stampa che si è ripetuto fino ad oggi: in precedenza, infatti, la dicitura fu sempre "Medium altum".
La contrada di Sparavera

Nella descrizione di Giovanni Da Lezze del 1596 appare la dicitura "Mezolto". Il significato di questa denominazione, se oggi non si riesce più a percepire per il radicale cambiamento, è però chiaro: Mezzoldo è l'insieme di almeno tredici Contrade, al cui centro c'è la località con la Chiesa posta su un pianoro sopraelevato e collegato a tutte le contrade dal serpente della vecchia strada Priula e da mulattiere per ogni contrada. Qui la chiesa di San Giovanni Battista "Vallis Ulmi, in mezzo e in alto rispetto a tutte le altre contrade, ha dato il nome a tutto "Mezzoldo". E questa denominazione suggerisce una ecclesiologia: la Chiesa è in mezzo, tra la gente; è in alto come simbolo unificante, a cui si indirizzano tutte le realtà umane attorno a lei. Così la chiesa di Mezzoldo in mezzo e in alto diventa, per la comunità umana di oggi attorno a lei, proposta ancora attuale e ponte tra cielo e terra" Don Bruno Caccia, dalla guida a  "S. Giovanni Battista in Mezzoldo"

La mattina seguente aiutai una decina di donne che stavano addobbando la  stradina costituita da grandi gradini che qui tutti chiamano la Via delle Tribuline. >E' stata costruita (20 metri, non di più!) per collegare la strada Priula alla contrada dè Bèrèr. C'è ancora questo arco che ricorda dove era posta un effigie probabilmente della Madonna del Rosario alla quale la tradizione vuole che i passanti rivelassero, in cerca di conforto, le loro tribolazioni . A dirla tutta a me quella specie di muretto sembrava tutt'altro. Però, se proprio ci si pensa, si può concludere che l'edicola, lì, poteva davvero starci...perché no? E magari tempo dopo l'immagine è stata spostata o copiata sopra gli stipiti della porta del casato Molinari. La Madonna affrescata, di recente restaurata da questa famiglia proprietaria, reca  la scritta "secolo XVI".

Anche la nonna partecipò al lavoro di abbellimento: era lei che dirigeva tutte le signore coi suoi ordini eseguiti da tutte noi abbastanza di malavoglia... sì perché lì dentro la "Sciura Adde" era il nostro capo (anche se a volte un poco troppo esigente!), il nostro direttore d'orchestra quando intonavamo vecchie canzoni di montagna o partigiane.

"Una mattina mi son svegliato
O bella ciao! Bella ciao! Bella ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato e ho trovato l'invasor...
O partigiano portami via
O bella ciao! Bella ciao! Bella ciao, ciao, ciao!
O partigiano, portami via O perché sento di morir...
E se io muoio da partigiano
O bella ciao! Bella ciao! Bella ciao, ciao, ciao!
E se io muoio da partigiano tu mi devi seppellir...
Mi seppellirai, lassù in montagna
O bella ciao! Bella ciao! Bella ciao, ciao, ciao!
Mi seppellirai lassù in montagna sotto l'ombra di un bel fior...
E tutti quelli che passeranno
O bella ciao! Bella ciao! Bella ciao, ciao, ciao!
E tutti quelli che passeranno diranno che bel fior...
E questo è il fiore del partigiano
O bella ciao! Bella ciao! Bella ciao, ciao, ciao!
E questo è il fiore del partigiano morto per la libertà!

Scommetto che tu non sai neppure l'essenziale riguardo la Strada Priula ... intervenne poi la nonna, troppo curiosa per i miei gusti ... importantissima e larga mulattiera che dal 1592 ai giorni nostri ha offerto la possibilità a Mezzoldo di ingrandirsi ed arricchirsi un po', diventando un irrinunciabile luogo di passaggio . In effetti non sapevo nulla. Non sapevo che era stata progettata da Alvise Priuli, podestà e vicecapitano della Repubblica Serenissima di Venezia, iniziata nel 1593 e terminata tre anni dopo. Non sapevo che questa via, salendo da Bergamo fino al Passo di San Marco per poi scendere verso Morbegno, non aveva neppure un gradino , così che i carri e anche i viandanti potessero circolare meglio. Solo in prossimità della chiesetta di San Rocco, edificata per ricordare la peste del 1632, essa diviene più ripida, proprio per concedere al viaggiatore una sosta piana e riposante di fronte al luogo sacro. Questa via, di fondamentale importanza commerciale ma soprattutto militare, permetteva, di raggiungere la Valtellina e, da lì, la Repubblica dei Grigioni e i cantoni svizzeri, ponte per la Francia, le Fiandre e l'Inghilterra. Fu in questa occasione che il Passo venne denominato San Marco, in omaggio a Venezia. Mia nonna, inoltre, quella sera iniziò a raccontare che , quando aveva una ventina d'anni ogni tanto con la sua sorella maggiore saliva fino a Cà S. Marco e stava lì qualche giorno al fine di strappare dalla solitudine e dalla morsa della paura la signora che, attorno al 1940, faceva sì che l'antico rifugio potesse rimanere aperto anche d'inverno, ovvero gestiva l'antica cantoniera. Il papà ci accompagnava fin lassù facendoci largo tra la neve che allora era altissima; non l' ho mai detto a nessuno,  ma vivere anche solo due giorni chiuse in un rifugio di pietra, sole ed oppresse dalla neve che saliva fin sopra il tetto, mi spaventava da morire . Ma l'amicizia con la famiglia  che veniva pagata (pochissimo in verità!) dalla provincia per tenere vitale quel luogo dimenticato faceva compiere alla nonna imprese ora inconcepibilmente folli. Mi sentii orgogliosa di essere sua nipote.





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