Arlecchino - La Casa dei colori (1^ parte)

di Carlo Mangili

"Anno del Signore 1497 ", queste parole continuavano a rincorrersi nella mente e nei pensieri di Filippo e, anche se lui tentava di scacciarle volgendo la mente altrove, continuavano a ripresentarsi ad ogni pausa, come fastidiosi monelli in vena di scherzi dai quali non ci si riesce a liberare. " Anno del Signore 1497 " erano le ultime parole che aveva scritto con il carboncino sulle pagine del libretto dalla copertina di pelle su cui Filippo annotava ogni scambio, di acquisto o vendita che fosse, che riguardava il suo mestiere : il mercante. Aveva da poco lasciato Palazzo Boselli, la fortificata dimora della famiglia che, insieme agli Zignoni, controllava l'accesso alla Valle Taleggio, e con i suoi tre muli con il basto carico di merci si stava dirigendo verso il Cornello dei Tasso dove avrebbero trascorso la notte. Avrebbero, sì, perché questa volta, per la prima volta, con lui viaggiava suo figlio, il suo unico figlio Antonio di tredici anni. Sotto la falda del cappello di feltro nero, che lo riparava dalla leggera pioggerella autunnale, pensava e meditava sull'opportunità di avere portato Antonio con sè in questo viaggio. Filippo era ormai decisamente avanti negli anni e, anche se non si sentiva affatto vecchio o stanco, i segni del tempo erano ormai evidenti sui duri lineamenti del suo volto e tra i capelli dove il colore della luna aveva quasi completamente scacciato il corvino che lo aveva accompagnato fin dal giorno della sua nascita. Si domandava anche se non fosse troppo vecchio per Antonio, se lui, alla sua età, potesse ancora dare un esempio, una guida a quel figlio che lui e Marta avevano avuto quando ormai la speranza li aveva lasciati.

Era forse per questo che aveva continuato a lavorare nonostante l'età, per poter lasciare un futuro a quel figlio così amato e al quale temeva di non poter dare tutto ciò che avrebbe voluto. Il rumore di un mucchio di foglie secche spostato dagli zoccoli di Nero, il suo mulo di testa, quello più anziano e fiero come uno stallone da battaglia, lo riportò a pensieri più terreni. La sera si stava avvicinando e lui voleva raggiungere il Cornello prima che la notte inghiottisse ogni cosa. La strada che percorrevano era conosciuta come Via Mercatorum ed era percorsa dai viandanti e dalle carovane di mercanti che da Bergamo e dalla " bassa ", risalivano le Valli per scendere in Valtellina e da lì partire verso tutte le regioni d'Europa. Filippo, durante la sua vita, aveva percorso innumerevoli volte quella strada, soprattutto in compagnia di altri mercanti, con i quali poi si univa in carovana a quelli che trovavano a Coira, in Svizzera, da dove si spingevano fino ai più remoti paesi del Nord Europa. La meta di questo viaggio era invece Tirano dove avrebbe cercato di allacciare rapporti e scambi con altri mercanti, ma dove soprattutto, avrebbe fatto conoscere Antonio e lo avrebbe avviato alla sua professione. Durante quei viaggi il pericolo più frequente era rappresentato dai briganti che miravano al denaro ed alle merci trasportate. Se le monete d'oro potevano essere nascoste facilmente nel pane e nella frutta che tenevano nelle bisacce, i preziosi rotoli di seta che Filippo aveva acquistato a Bergamo dai mercanti di Venezia, spuntavano riconoscibili ed invitanti dai dorsi dei muli. Una scrollata al nero mantello che lo avvolgeva servì a scacciare quei pensieri dalla mente e a liberare la mano destra nel segno della croce quando passarono davanti alla tribulina che segnava l' inizio della salita verso il Borgo di Oneta.

Erano partiti dalla loro casa di Bergamo, con le finestre proprio sopra Piazza Mercato del Fieno, circa una settimana prima, avevano prima risalito la Valle del Riso verso Selvino e, dopo alcune soste ai mercati di Cornalba, Selvino e Dossena, avevano passato la notte precedente presso la contrada di San Gallo, nel fienile di un conoscente. Da lì, quello stesso mattino di buon ora, erano scesi verso l'abitato di San Giovanni Bianco dove il torrente Enna, dalle gonfie e scure acque provenienti dalla Valle Taleggio, si getta nel Brembo proprio nel centro del paese. E proprio sulla confluenza dei due fiumi, in una posizione strategicamente ineguagliabile, sorge Palazzo Boselli. L'accesso al porticato inferiore è regolato da un ponte levatoio che conduce ad un portale chiuso da una robusta grata di ferro. La parte superiore del palazzo ospita la residenza della nobile famiglia e si articola su due piani differenti. Sebbene Filippo avesse visto solo i porticati ed i sotterranei inferiori, aveva sentito spesso parlare dei favolosi tesori di cui i Boselli amavano circondarsi. Amavano anche, o forse è meglio dire dovevano, circondarsi di guarnigioni armate di soldati che, oltre che alla difesa, provvedevano a riscuotere i dazi dei viaggiatori e a regolare il commercio.

Adiacente al palazzo sorgeva infatti la fucina degli Zignoni, altra potente famiglia che aveva fondato la sua fortuna sulla produzione ed il commercio della "ferrarezza", i manufatti in ferro per cui erano famose queste zone e che erano state il motivo della sosta di Filippo quel giorno. Aveva infatti acquistato un notevole quantitativo di verzelle, le piccole verghe usate da fabbri e maniscalchi, che avrebbe rivenduto all'arrivo in Valtellina. Per contro aveva venduto alla governante della famiglia Zignoni 4 metri abbondanti di preziosa seta orientale con la quale sarebbe stato confezionato un vestito da cerimonia per Vistallo, il rampollo della famiglia. Questi era tornato due anni prima dalle campagne della Serenissima contro gli eserciti francesi di Carlo VIII, carico di gloria e di onori. Con lui portava una reliquia, una spina della corona della Passione di Gesù che aveva regalato alla Parrocchia e alla comunità. Tutto questo Filippo l'aveva raccontato ad Antonio che gli chiedeva informazioni su questo nobile signore di cui tanto si parlava e mentre diceva tutto ciò non poteva non pensare a quel ragazzo che aveva conosciuto anni prima e che se ne era andato di nascosto cercando di riscattare le sue colpe con il servizio all'esercito della Leonessa. Erano comunque questi ultimi due scambi che Filippo aveva annotato poco prima sul suo libretto. La salita verso Oneta iniziava dopo essersi lasciati sulla sinistra uno sperone di roccia alto un centinaio di metri chiamato Corna Albana, la Roccia Bianca. "Padre, perché la chiamano così? A me non sembra così chiara". La voce di Antonio aveva procurato a Filippo un sussulto.

Era abituato alle sue domande che ultimamente aumentavano sempre più, segno della voglia di conoscenza e di crescita che aumentava in quel figlio che stava rapidamente crescendo anche fisicamente. " Sembra uguale ad una qualsiasi collina ma, se viene appena scavata, rivela un colore chiaro, tendente all'azzurro in contrasto con le scure rocce che si trovano qui attorno". Vedeva il suo sguardo scrutare con interesse e sentiva dentro di sé un misto di orgoglio e di tristezza. Al borgo di Oneta si accede superata la dolce salita che sale da San Giovanni Bianco, attraverso un arco di pietra sovrastato da una abitazione. Dalle finestre si diffondeva un fragrante effluvio di pane appena sfornato che stuzzicò l'appetito ad Antonio. I muli passarono sferragliando sulle tonde pietre della pavimentazione ed entrarono nella piazzetta occupata sul lato opposto all'ingresso da una fontana per l'abbeveraggio. Filippo voleva fare riposare un po' gli animali prima del tratto finale ed anche lui ed Antonio ne avrebbero approfittati per mandare giù un boccone. Con i muli legati agli anelli di ferro fissati ai sassi del muro, slacciarono le loro bisacce e si sedettero sui gradini di pietra dello stalliere che li aveva accolti. Mentre addentava una fetta di formaggio che avevano comprato alla locanda della piazza di San Giovanni Bianco, lo sguardo di Antonio fu attratto da qualcosa che vide all'ingresso della palazzina di pietra che sovrastava la piazza. Senza finire di mangiare si avvicinò all'affresco che aveva suscitato la sua curiosità e che si poteva sfiorare salendo i primi due gradini dell'abitazione.

Rappresentava un uomo vestito in maniera rozza, con i capelli scompigliati e con in mano un pesante randello nell'atto di colpire chi passasse sulla scala sotto di lui. Era sovrastato da una scritta che spuntò sulle labbra di Antonio : " CHI NO E' DE CHORTESIA NO GHE INTRAGHI IN CHASA MIA". " Cosa significa ? " disse addentando un nuovo boccone di formaggio: Filippo si alzò e lentamente la sua alta figura si avvicinò verso il ragazzo che continuava ad esaminare il dipinto. _" Quando ero ancora giovane, e passavo di qui per le prime volte, questa casa era abitata da una potente famiglia, i Grataroli. Erano un nobile casato che aveva avuto nel suo albero genealogico grandi guerrieri che avevano combattuto con onore sotto diversi eserciti. Erano anche dei grandi possidenti e la terra qui attorno era tutta loro. Con altri mercanti ci fermavamo spesso e facevamo con loro buoni affari, erano degli ottimi compratori. Quell'ingresso in cima alle scale introduce ad un salone nel quale mi sono ritrovato diverse volte con i Grataroli per trattare le merci. La prima volta che entrai rimasi sbalordito. Tutte le pareti della sala sono abbellite da stupendi affreschi e decorazioni". _" Che tipo di affreschi ? ". _" Ci sono scene di tornei di cavalieri, rappresentazioni di caccia e ritratti di guerrieri vestiti con armature e alte uniformi. Rimasi così colpito che da allora chiamai questo posto la Casa dei Colori. Anni dopo i Grataroli se ne andarono e la casa rimase chiusa per molto tempo. Poi, qualche anno fa, la casa venne riaperta e venne anche un nuovo proprietario. E' una persona completamente diversa, come non ne ho mai conosciute.

Mi fermo spesso qui da lui ma non per commerciare. A lui piace parlare ed ascoltare, raccontare delle sue esperienze e sentire la storia dei miei viaggi. Mi ha raccontato di avere goduto la sua vita ma di avere regalato felicità e gioia a molte persone. Non me lo ha mai detto né io gliel'ho chiesto ma credo che sia un artista o un attore". -"Che cos'è un attore ?". Filippo fece un passo poi, con le mani sulle spalle del ragazzo alzò gli occhi verso la casa. "E' qualcuno che riesce a divertire, commuovere o a far pensare le persone semplicemente rappresentando in maniera chiara quello che le persone stesse sono nella realtà. La figura che stai guardando l'ha dipinta lui stesso". Antonio si accorse solo ora di non avere staccato un solo istante gli occhi dal dipinto sul muro. "se non fosse così tardi potremmo bussare e stare a parlare con lui per delle ore". mentre si avviavano verso la strada che usciva dal borgo passando davanti alla piccola chiesa, Antonio diede una sbirciata attraverso la finestra illuminata che dava sulla strada. Seduta accanto al fuoco del camino gli parve di vedere una figura debolmente illuminata dal fuoco che lo guardava e gli sorrideva. Superarono il ponticello in pietra che scavalca la valletta che scorre sotto la chiesetta di S.Anna e, quando ormai il buio stava cancellando i contorni, videro tra le foglie le luci del Cornello dei Tasso.

Quella notte, sistemati muli e merci sotto i portici, sotto la sorveglianza degli stallieri, padre e figlio trovarono alloggio nella locanda posta nella parte superiore del paese, quella dedicata alle abitazioni e ai luoghi di ristoro. Il mattino arrivò per Filippo appena prima del levare del sole. Stretto nel suo mantello guardava dall'alto l'umida nebbia, che saliva dalle ripide pareti di roccia che trattenevano la furia del Brembo, e saliva a lambire le mura e i torrioni di Casa Tasso. Il suo sguardo si volse poi verso Nord dove il colore delle nubi e la rigida temperatura dell'aria gli fecero provare brividi che non erano consoni al tardo autunno che stavano attraversando : la neve sarebbe arrivata presto. La sera prima, davanti ad un caldo bicchiere di vino della Cantina aveva saputo dall'oste che solo il giorno prima era passato un altro gruppo di mercanti che avrebbe sostato qualche giorno ad Averara, prima di intraprendere il valico del S.Marco e la successiva risalita del corso dell'Adda. Filippo, che intendeva unirsi a loro, sapeva che avrebbero potuto recuperare lo svantaggio approfittando della sosta di Averara ma, viste le condizioni del tempo, temeva che la carovana sarebbe ripartita immediatamente per non correre il rischio di rimanere bloccati dalla neve. Diede ordine allo stalliere di preparare i muli e andò a svegliare Antonio. Procedettero sulla sicura strada di fondo valle fino alla biforcazione di Lenna e da lì arrivarono sotto i prati di Averara verso la sera di quello stesso giorno. Sapeva che il punto più pericoloso del viaggio l'avrebbero incontrato appena lasciata la dogana veneta di Averara fino all'abitato di Albaredo oltre il passo S.Marco.


Tratto dall'Annuario C.A.I. alta Valle Brembana







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