Finalmente la Pasqua arrivò e Cristo Gesù anche quell'anno poté risorgere. Ma non era la solita festa; qualcosa nel mio animo, cullato da informazioni sempre più sconvolgenti, era cambiato. A tutto ciò poi si aggiungeva pure quel velo di antichità, di mistero, di "non detto" che non era ancora stato svelato e, probabilmente, per sua natura, mai lo sarà. Anche la Messa serale della vigilia di Pasqua, celebrata nella parrocchiale dedicata a S. Giovanni Battista, si riempì di antico. L'organo, le campane e i ringhecc iniziarono a suonare a festa nell'istantein cui il sacerdote annunciò la Risurrezione di Gesù. Nel corso della celebrazione il sacerdote intonava diversi canti in latino, tra i quali ricordo il "Gloria in excelsis Deo , et in terra pax hominibus bonae voluntatis"; su tutto il resto vigeva il buio più cupo della mia ignoranza! Il pranzo pasquale a casa della nonna si svolse in piena allegria grazie soprattutto ai miei zii e alle mie zie, giunti dai paesi vicini per festeggiare assieme. Iniziarono a parlare poi, scaldati dal rossore del vino, delle osterie presenti in paese. Questo argomento mi
incuriosì a tal punto da convincere la nonna ad indicarmi qualche volume, tra i suoi numerosi, dal quale poter estrapolare qualche informazione
in più a riguardo. Ne uscirono due nomi: Angelo Giuseppe card. Roncalli e quello di un francese, Dominique Vivant Denon. Il primo fu il nostro
futuro grande Papa Buono che, quasi incredibile!, il 2 settembre 1953 fece una cordialissima visita alla cantoniera di S. Marco. Lasciò
in particolare sul libro del CAI uno scritto di saluto con il quale, però, voleva porre l'accento sulla storica e quanto mai attuale importanza del Passo. Riportai alcune parole che mi sembrarono le più espressive:
Dopo aver comunicato la curiosità sul Denon agli invitati, in tavola s'infuocò un acceso dibattito riguardo quale poteva essere la "locanda" citata dal Francese. Lo zio Daniele, quello pelato, propose un'antica osteria presente (chissà quante centinaia di anni fa!) in Cà Dè Maisetti, ora sede di una piccola e graziosa casetta ristrutturata. La sua proposta però venne subito bocciata a causa della sua conformazione: in quest'ultima ci dev'essere stata sicuramente più luce. Le donne proposero invece l'osteria Stella, edificio che, prima della sua demolizione di 5 anni fa, si trovava proprio sulla strada Priula in prossimità della Parrocchiale. Tutti gli zii si persero però nel calcolo dell'età di questa; secondo lo zio Antonio era già presente all'epoca fiorente della Priula e portò a testimoniare un uncino di grosso ferro, appeso fuori dalla locanda, usato probabilmente per l'aggancio dei muli e dei cavalli. Però anche questo caseggiato sarebbe risultato più spazioso e luminoso di quello citato dal Denon. Fui io ad azzardare l'ipotesi che il caro studioso giacobino poteva proprio aver solcato il territorio Dè Bèrèr, inforcando per un momento la via delle Tribuline ed arrivando al piccolo buco, ex osteria, rintracciabile ancora adesso dall'insegna sbiadita sotto i portici. Il portone era chiuso e non si poteva entrare a verificare con certezza la presenza dell'abbaino, anche se la nonna era sicura che ne fosse presente uno: la piccola finestra forse che
dava sulla strada.
Quella discussione venne interrotta bruscamente dalle parole vecchie e raggrinzite di zia Giuseppina, la più anziana lì dentro: E' inutile voler cercare a tutti i costi quello che non potrà più tornare... Non capii se nella sua voce c'era più nostalgia o più rabbia per il tempo passato. Già il passato. Nella mia bella città non ho mai pensato che ci si potesse così tanto trovare a contatto con questo oggetto sconosciuto e insieme misterioso. Credo che posti come Mezzoldo, e in particolare Cà Dè Bèrèr, vivano parallelamente tre tempi, passato, presente e futuro; o chissà, magari si tratta di uno solo, un misto fascinoso tra i tre. Qualcosa di datato, in effetti, continuava a bussare alla porta delle nuove generazioni. Ora queste ultime s'abituano a un paese ormai poco indipendente. Me ne parlò la nonna proprio mentre stavo preparando la borsa per il mio ritorno il lunedì sera. Te ne vai, non sei minimamente abituata al sacrificio. Ora voi che dite di abitare il paese, nascete dipendenti da tutto il resto del mondo! La nonna aveva ragione. Il territorio di Cà Bereri, ad esempio, in una cinquantina di anni si è triplicato, ovvio!, salendo verso Scaluggio e scendendo verso il Brembo. Eppure non è più autonomo! Il forno ha cessato la propria attività, la strada Priula è stata soppiantata dalla più comoda Provinciale, i formaggi non vengono più stagionati sotto i portici, nelle tipiche Casere. Giovanni da Lezze, censore della Repubblica di Venezia, nel 1596 contò a Bereri circa una cinquantina di persone. Ora, invece, il borgo storico è stato quasi completamente abbandonato e la quarantina di famiglie presenti hanno preferito spostarsi in caseggiati nuovi e più comodi. Ormai raramente, ricorda la nonna, si vede il gruppo di tante donne che d'estate, nei pressi del porticato, prendevano il sole filando, come quando era giovane lei. L'inverno di inizio secolo veniva trascorso ancora in compagnia bevendo un calice di vino nell'osteria "Degli Amici", il ricordo attuale della quale si limita anch'esso ad una scritta ormai del tutto cancellata. Le Casere comuni, ricche di assi per la stagionatura del formaggio, ora hanno lasciato spazio ad una cantina trasandata. E per finire il "Monopolio", ovvero l'antica rivendita del sale e dei sigari, presente nella zona superiore di Bereri, ha da tempo chiuso i battenti, riaprendoli solo ad una noncurante famiglia forestiera. L'insegna "Vino Bono", ormai consumata dagli anni, e una meridiana che, per l'inurbamento, non può più svolgere la sua mansione, testimoniano la presenza di questo un tempo amato luogo. Mentre davo alla nonna il mio più caro arrivederci, col sorriso sulle labbra mi allungò un biglietto; lo porto sempre con me e penso proprio che non me ne dividerò mai. Lo lessi percorrendo il lungo corridoio che separava la Casa della nonna dal portone. Un calore improvviso, fulminante mi tranciò il cuore e mi costrinse a fermarmi LA MEMORIA NON PUO' DIMENTICARE CIO' CHE SIAMO E CIO' CHE SIAMO STATI". Ancora scioccata chiusi l'inferriata del cimitero; fuori il tiepido sole primaverile andava piano piano nascondendosi dietro le montagne, rendendo vero più che mai il pensiero della mia carissima nonna. |
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