Premessa della Redazione.
Questi stralci di notizie, desunte dal libro "dalle Montagne alla Pianura" sono solo l'inizio di una vasta ricerca che è in atto da parte di nipoti e discendenti degli ultimi "bergamini", famiglie Arioli - Papetti - Invernizzi - Locatelli - Garbelli - Midali - Monaci - Cattaneo - Milesi e altre che, dall'alta Valle Brembana, Valtaleggio e Valsassina dove da sempre caricavano gli alpeggi nei mesi estivi, non avendo in quei luoghi di che svernare, sono stati costretti a transumare, cioè a spostarsi con il loro bestiame verso la pianura, contribuendo in modo determinante alla bonifica della Pianura Padana, dove si sono stabiliti. Con questa ricerca si vuol dare un modesto ma doveroso riconoscimento all'immenso lavoro che queste persone hanno svolto nel corso della storia ed è giusto che il loro ricordo sia tramandato ai posteri. " Questa è una storia lunga almeno un millennio; le prime notizie di montanari che prendevano in "soccida", cioè in affitto con condizioni non generalizzate ma accordate fra i contraenti, nel Lodigiano risalgono al XII secolo. E, se la documentazione è così remota, sicuramente queste usanze erano in uso già molto tempo addietro". "Da questo modesto studio si può rilevare come i Bergamini, detti anche Malghesi, prima in transumanza scendendo in pianura nell'autunno e risalendo in montagna in primavera, e successivamente stabilendosi definitivamente a valle, realizzavano un fatto storico. Portando nella bassa il loro bestiame, non solo ne condizionavano il tipo di coltivazione, favorendo il disboscamento e la conseguenza messa a prato del "roncato", ma incrementarono e progredirono la lavorazione del latte, producendo il formaggio, anzi i formaggi, grazie ai quali gli stessi territori ne diventarono non solo i maggiori, ma anche i migliori produttori". "Molti sono i chilometri che sono stati percorsi per consultare archivi comunali e parrocchiali, alla ricerca di luoghi di sepoltura di parenti che se ne erano ormai andati; per parlare ed avere notizie da cugini lontani fisicamente e come parenti, per avere fotografie ed altri indizi da seguire". Si usava dire che i bergamini "avevano le vacche in testa". "In autunno poi ridiscendevano le Orobie verso la pianura padana e svernavano nelle marcite della Bassa "paradiso dei poveri" o si spingevano fino a Vercelli e Novara "giurisdizione dei Savoia". I "Bergamin" o "malghés" erano detti così perché provenivano dalle valli bergamasche e dalle malghe, cioè i pascoli in quota dei loro posti d'origine. Quando gli ultimi temporali d'agosto segnavano la fine dell'estate e, a settembre, sulle pendici delle montagne bergamasche cominciava a far freddo, magari con la comparsa della prima neve, le mandrie scendevano a svernare nel basso Milanese, nel Lodigiano, da dove erano salite in primavera. Era, questa, un'abitudine invalsa da secoli, che aveva rituali e scadenze fortemente radicate e legate a date riconducibili ad eventi religiosi, come le ricorrenze di festività di Santi propri dell'ambiente rurale e pastorizio. La data di scadenza della permanenza in pianura era il 23 aprile, festa di San Giorgio, che segnava la scadenza dei contratti con i fittabili della pianura, per l'utilizzo dei pascoli e delle stalle. La permanenza poteva anche protrarsi per un periodo maggiore, cioè il tempo necessario per smaltire le scorte di fieno già acquisite. Così esigeva il contratto fra "bergamin" e "fitauli". Ai primi di giugno i "bergamini" si mettevano in marcia, con la loro mandria, per ritornare a casa, sui monti della Valle Brembana e Taleggio. Apriva la colonna il capo famiglia, figura tarchiata, baffi spioventi, bastone ed il caratteristico grembiule blu carta da zucchero. I figli, fra le bestie, le tenevano a bada a bastonate perché, essendo ancora fresche "pativano" una certa mattana; un grande aiuto l'avevano dai cani, i famosi "pastori bergamaschi" che, ben addestrati, correvano su e giù lungo la mandria, facendo ciondolare il lungo e disordinato pelo che, tra l'altro, copriva completamente gli occhi. Chiudeva questa sorta di corteo la "baréta" con le sue grandi ruote, trainata da un robusto cavallo che, coperta da un telo rustico e pesante, serviva al trasporto del necessario per fare il formaggio lungo la strada, i vitellini appena nati o zoppi. Vi era inoltre il paiolo ed il sacco di farina di granturco per la polenta; vestiti, coperte; secchi, "scagn""per la mungitura, ed una gabbia con alcune galline, per le uova. Al seguito vi erano anche due o tre pecore e qualche agnellino che, arrivati in montagna, venivano macellati, fornendo carne secca per l'inverno. Alle mucche che venivano riconosciute in possesso di una certa "qualità di comando", venivano appese al collo grandi campane di bronzo, "le brunze", o di ferro "le ciocche", dalla caratteristica forma. Questi campanacci, suonati dal ritmo del passo delle bestie, servivano da richiamo ed allineamento per tutta la mandria. Ed era proprio il suono dei campanacci che preannunciava l'arrivo e ritmava il transito dei bergamini di paese in paese, fino a destinazione: che poteva essere la montagna o la pianura, a seconda della stagione. Dai fittabili della Bassa si comprava a peso l'erba ed a "cassi" il fieno, per questi si praticava uno strano quanto curioso metodo di pesatura, una sorta di valutazione ponderale. In pratica si prelevavano due campioni rappresentativi dal "casso" in questione, il cui peso sarebbe poi stato rapportato alla totalità del blocco di fieno in questione. Perl la maggior soddisfazione delle parti, il fittabile ed il bergamino sceglievano ciascuno il punto che reputavano più idoneo dove prelevare il campione. Dopo di che, una persona particolarmente esperta, con apposita "mazza" tagliava due blocchi di 60 per 60 centimetri per tutto lo spessore de lfieno e, dal peso di questi si risaliva al peso complessivo del "casso". Strada Statale "Bergamina" N. 342 – da Dresdano a Foppolo. Il tragitto al seguito della mandria di mucche, dalla valle ai monti, e viceversa, lo facevano anche i componenti della famiglia Papetti. Per gli ultimi viaggi fatti, nel 1945-46, si partiva da Dresdano, dove ormai la famiglia aveva trasferito la propria dimora, e si tornava su, a Foppolo. Un tempo, quando si stava ancora a Casa Moretti, "ai Murecc", si scendeva in pianura e quindi si risaliva; in quegli anni, alla fine dell'ultima guerra, si saliva e poi si ridiscendeva: era la stessa identica cosa, tranne che era cambaito il paese in cui si abitava e che, quindi fungeva da base. A mettersi in viaggio erano. Padre Battista, mamma Margherita, i figli Giuseppe, Felice, Italo e Marco, mentre Mariuccia e Gianni rimanevano a Dresdano ad accudire alla casa ed alle mucche da latte. Piero non c'era, era prigioniero in Germania. Quei viaggi a piedi, in margine all'ultima guerra, dalla pianura alla montagna, e viceversa, sarebbero rimasti gli ultimi di una serie lunghissima, che ha coinvolto generazioni e generazioni dei Papetti, per centinaia e centinaia di anni. Si partiva con la "bareta" stracarica; carica era pure la "gimbarda", quella sorta di branda appesa con quattro catene sotto il carro, fra le due grandi ruote e che, mentre quello procedeva trainato dal cavallo, la "gimbarda" dondolava ad una ventina di centimetri dal fondo sassoso della strada. La mandria era composta da un centinaio di capi, fra mucche e vitelli, tutti ovviamente di razza "Bruno Alpina", con due o tre cani da pastore che aiutavano a mantenerle in branco. Il grosso delle mucche da latte rimaneva in stalla a Dresdano, si trattava delle più pesanti e meno giovani, che avrebbero mal sopportato il viaggio. Durante il lungo tragitto le mucche venivano munte e col latte si faceva prima del formaggio, tipo "Branzi", quindi si ricavava "el fiurit" che, colato, dava "el mascarpin". Quando pioveva gli uomini si riparavano con un largo capello di feltro e con "el tabar", un mantello già di per sé piuttosto pesante, che lo diventava ancora di più man mano che assorbiva l'acqua. Per oltre 1400 metri di dislivello ed un totale di 108 chilometri da percorrere in nove giorni, con una media di dodici chilometri al giorno; si faceva sosta due volte al giorno per permettere alle bestie di pascolare e per effettuare la mungitura ( Vi erano apposite aree o prati dove si aveva il diritto di sosta e pascolo). La notte si dormiva all'aperto, avvolti nel mantello, lungo le strade ed esposti alle intemperie; in genere si dormiva sulle rive dei fossati che fiancheggiavano la strada stessa, avvolti in pelli di pecora. Di alcuni centri è ancora vivo nella memoria l'esatto punt odi sosta: a Caleppio era nella zona attualmente occupata da una banca; a Cassano d'Adda proprio vicino al ponte, sul gerale dell'Adda; a Bergamo vicino alla stazione ferroviaria, a Ventolosa nello stallazzo a a Branzi in località "saress", in quella sorta di recinti, chiamati "i barek", costituiti da muretti a secco realizzati con le pietre raccolte nel pascolo e sovrapposte. Una volta tornati sui pascoli montani, da dove erano originariamente partiti, si riprendeva la vita ed i ritmi della "malga", ancora ben viva nei ricordi, anche nei minimi particolari, come le piccole baracche (le menole), molto simili alle cucce dei cani, nelle quali ci si riparava di notte e quando pioveva improvvisamente. Allevamento e transumanza. Dell'allevamento e transumanza nella pianura lombarda si era interessato nientemeno che Carlo Cattaneo il quale, nel saggio "Dell'agricoltura inglese paragonata alla nostra", formula l'ipotesi che "se badiamo al nome di bergamine, dato ancora oggidì agli armenti stanziati nella bassa Insubria, benchè sian essi interamente oriundi dalla Svizzera, dobbiamo inferire che vi contribuissero (al formarsi del sistema d'alta coltura) anche quelle famiglie che dalle prealpi bergamasche li mandavano a svernare nella pianura. E' da credere che a poco a poco s'avvedessero del vantaggio di trattenervele d'estate; e che quindi l'affitto del pascolo invernale siasi esteso prima all'anno intero, e poscia a più anni, comprendendo tutti i prodotti agricoli. Poiché l'alta coltura doveva più facilmente cominciare in quelle famiglie che possedevano il primo e più prezioso strumento di essa, cioè un considerevole capitale investito in bestiame". Nel secolo XV nella così detta bassa venivano praticati tre tipi di coltivazioni: boschi, arativi, pascoli e prati. I terreni a bosco, proprio in quel periodo vennero in gran parte disboscati, "roncati", come si diceva allora, per poterli adibire a coltivazione. Le zone aratorie e quelle riservate al pascolo erano gestite in due diversi modi, quelle aratorie venivano affidate a "massari", che pagavano un canone fisso in natura, e i pascoli con affitto in denaro. L'avvicendamento fra cereali e foraggi non era ancora sistematico, cosa che avvenne con la realizzazione del sistema di rogge adacquatorie. A quel punto fu introdotto, accanto all'agricoltura, anche l'allevamento del bestiame, in quell'ambito evolutivo i bergamaschi ebbero una funzione molto importante. Erano in pratica degli allevatori di bestiame che nei documenti venivano chiamati "pergamaschi" o "bergamaschi", più raramente "bergamini", in alcuni casi "malgari". Fra il ‘400 e il ‘500 erano presenti in tutto il pavese di pianura. Giuseppe Pettinari |