Nei tempi passati, quando le esplorazioni di nuovi territori e le scoperte di nuove specie, sia del mondo animale che vegetale, erano all'ordine del giorno delle Società geografiche, queste attività portavano fama e successo a quanti le intraprendevano, spesso affrontando un'infinità di pericoli e in condizioni oggi inimmaginabili. Gli studiosi che accettavano tali incarichi erano fortemente motivati e giustamente incentivati dal mondo accademico, dalla stampa e dall'opinione pubblica, che partecipava con grande interesse a tali imprese, non ultimo per un orgoglio nazionale che ancora oggi, forse solamente nel campo scientifico e sportivo, rimane forte. Al loro fianco vi erano una schiera di collaboratori, spesso ancora più motivati e sorprendentemente validi, indispensabili al pieno successo delle spedizioni. Tra questi meritano di essere evidenziati i geografi, i disegnatori, gli illustratori e i preparatori, ai quali erano affidati compiti molto delicati, da cui spesso dipendevano le sorti delle intere spedizioni, almeno sotto il profilo documentario. Oggi molti di questi aspetti sono affidati ai sistemi elettronici, capaci di compilare interi e complessi database in tempi che sembrano impossibili, e alla fotografia, che sa riprendere immagini a livelli di risoluzione altissimi. La mano di un disegnatore resta però, ancora oggi, insostituibile, in grado di assemblare in un'unica composizione molteplici fattori che in natura richiederebbero condizioni impossibili da ottenere nel medesimo istante: luci, composizioni, fasi di crescita, associazioni, e altri particolari
che normalmente si succedono nel tempo e nello spazio. Gli incontri con la fauna delle nostre montagne, spesso occasionali, irripetibili, imprevisti,
che lasciano solamente un debole ricordo, sono depositati nella memoria in maniera spesso disordinata e confusa, ma basta un attimo, un'immagine
rivista, un particolare evidenziato, una descrizione letta, perché si ravvivino, e facciano rinascere emozioni. Sono le composizioni dei disegnatori, più che le immagini singole, che sanno esercitare associazioni e connessioni tra i ricordi.
L' Aquila Reale L'aquila l'abbiamo già presentata nell'annuario del 1999. È la regina delle alte quote, tornata da alcuni anni a nidificare sulle nostre vette e che vogliamo veder rimanere per sempre a simbolo di un ecosistema recuperato e vivo. Alla coturnice dobbiamo dedicare un capitolo a sé. Non si trattava in origine di una specie tipicamente alpina, ma è probabile che essa si sia insediata sulle nostre catene montuose durante i periodi interglaciali, essendo tipica dei territori assolati e pietrosi di regioni a latitudini inferiori, come i Balcani e il Caucaso. Sono in atto da cinque anni alcuni studi approfonditi della specie, avviati dal Comprensorio Alpino Valle Brembana, che verranno resi noti nel corso del 2003 e che saranno oggetto di una pubblicazione scientifica molto attesa. La specie ha dimostrato infatti da alcuni anni una sensibile diminuzione, e i fattori che vengono presi in considerazione per comprendere tale situazione sono attribuibili all'abbandono dei pascoli d'alta quota e all'insorgere di alcune parassitosi intestinali, di origine ignota e di notevole virulenza. I dati ufficiali daranno resoconti più precisi su tali problematiche. Si tratta di una specie bellissima, che vive per lo più al di sopra della fascia boschiva, sui versanti rivolti a sud, ricchi di pietraie, rocce e canaloni. Ama starsene al sole a crogiolarsi ed è pronta all'involo appena si accorge di essere in pericolo. Se ne parte con un sonoro colpo d'ali, che al momento lascia quasi spauriti, e si butta decisa verso il basso con volo deciso e veloce, sfiorando le asperità del terreno. Conduce vita di coppia e si riproduce a primavera, in una semplice buca tra la vegetazione erbacea; i piccoli, appena nati, sono subito in grado di seguire la madre. È una presenza importante, tipica delle nostre montagne, nei confronti della quale risulteranno assai importanti gli studi intrapresi, per meglio conoscerla e garantirle un futuro certo. Il Sordone e il Fringuello alpino sono due bellissimi piccoli uccelli che rappresentano l'estremo adattamento di alcuni passeriformi alle alte quote. Entrambi amano ambienti rocciosi, tra le cui fessure solitamente costruiscono i loro nidi. Frequentano pietraie, ghiaioni, morene, pendii rocciosi, ma anche praterie alpine, dove comunque affiorino qua e là massi solitari, sopra i quali amano sostare in osservazione, da quote superiori ai 1300 metri fino oltre i 2000. Non si tratta di migratori, anche se nella brutta stagione scendono a quote meno elevate dove riescono a procurarsi il cibo necessario, costituito principalmente da semi di graminacee, ma integrato abbondantemente, in ogni stagione, da insetti e invertebrati di ogni tipo. Il Sordone si riconosce facilmente dal "bavaglino" punteggiato di bianco e nero che scende sulla gola dall'attaccatura del becco, che si evidenzia su un colore di fondo grigio del capo e del collo, mentre i fianchi sono di color ruggine striati di bianco. Una colorazione, per l'ambiente che frequenta, decisamente mimetica, che lo rende piuttosto difficile da individuare. Il Fringuello alpino si differenzia per il bianco della banda laterale delle timoniere, di una fascia interna delle remiganti e delle copritrici inferiori delle ali, in netto contrasto con la fascia nera delle penne mediane della coda e delle remiganti esterne delle ali; un contrasto netto che il volo esalta e rende inconfondibile. Il canto amoroso dei maschi si può sentire fin dall'arrivo della primavera quando, risaliti alle alte quote, iniziano ad ispezionare i territori alla ricerca di possibili anfratti dove la femmina possa costruirsi il nido. altre presenze che non ci possono sfuggire e possiamo più facilmente osservare sono le farfalle, reginette del mondo degli invertebrati alati. Moltissime sono le specie presenti sulle nostre Orobie, che potremo osservare e conoscere più dettagliatamente se visiteremo le preziose collezioni in mostra nel 2003 al Museo di Scienze di Bergamo e in quello di San Pellegrino Terme, che possiedono raccolte interessantissime specifiche delle nostre montagne. Quelle illustrate sono la Vanessa dell'ortica, bellissima nelle sue tinte rosse e nere, con delicatissime macchie sfumate di azzurro e nero ai bordi delle ali, e l'Apollo, dalle ali sericee dai toni tenui e biancastri, chiazzate da macchie nere e rosse. Mentre la prima è comunissima, e prende il nome dal fatto che le sue larve, nere e ornate e pelose, si nutrono di ortiche, la seconda è una specie tipica delle catene montuose eurasiatiche, dai Pirenei all'Himalaia, piuttosto rara sulle nostre montagne la possiamo trovare da Carona al Prato del lago, ad una fascia altitudinale ben delimitata e localizzata. Anche questi semplici invertebrati, i cui incontri ci offrono momenti di pura poesia, rappresentano elementi importantissimi del complesso ed intricato intreccio tra il mondo vegetale e quello animale, rappresentando un anello essenziale per la sopravvivenza di moltissime altre specie animali superiori. Basti pensare quanti milioni di bruchi di farfalla rappresentano il pasto quotidiano dei piccoli uccelli del bosco nel periodo della svezzamento. L'ultima specie, quasi per chiudere il cerchio, ci riporta al mondo dei predatori. Anche se lo vediamo in abito estivo, quello rappresentato a curiosare da una fessura tra le rocce è un Ermellino, temibile predatore terrestre abbastanza diffuso sulle nostre montagne, anche se non è sempre facile osservarlo. Il mimetismo, alle alte quote, in inverno, è prerogativa dei pochi artisti del bianco. Per questo splendido predatore lo sfondo di un candido manto nevoso non rappresenta infatti un ostacolo alla caccia, poiché all'arrivo della prima neve ha già mutato il suo mantello, che diviene candido per confondersi perfettamente con la neve. È parente stretto della donnola, con la quale si può confondere in estate, se non fosse per la punta della coda, sempre nera, e per le sue dimensioni decisamente maggiori. L'ermellino è scaltrissimo, prudente, sospettoso. Caccia le sue prede preferibilmente all'agguato per poi inseguirle e catturarle con un balzo fulmineo. La sua dieta comprende tutte le specie di mammiferi inferiori, compresi conigli selvatici e piccole lepri, oltre agli uccelli che riesce a catturare. Migliaia sono le presenze discrete e uniche che animano il silenzioso mondo delle nostre montagne. Presenze uniche e straordinarie, degne della nostra attenzione e di rispetto, capaci di suscitare emozioni nuove ad ogni incontro, e di tenere viva la curiosità per i misteri che le loro vite, seppur brevi, racchiudono. |