Ultimo assalto

Dopo tre lunghi anni di guerra passati in tragiche immobilità di fronti di combattimento, mai più avrebbe pensato di procedere, avanzando di valle in valle così rapido, così spedito: mio padre, il tenente d'Artiglieria da Montagna Giovanni Fumagalli era sceso dal Tonale in Val Vermiglio, a Malé, a Revò, a Fondo: poi era salito alla Mendola, ai suoi grandi alberghi trasformati in sedi di comando. Di qui ordini rapidi per preparare l'ingresso in Bolzano dove attestarsi, prima di proseguire verso il Brennero. L'armistizio imponeva ai reparti d'avanguardia scadenze tambureggianti, deviazioni continue, prese di contatto coi comandi locali, consegne, informazioni aggiornate, controlli continui. L'Impero Austro Ungarico con le sue armate mobili in pieno disfacimento, manteneva ancora intatte le strutture dei vari presìdi e quelle amministrative che rispondevano con mirabile efficienza agli ordini incessanti di mutar comandi e comandanti. Volti severi, ciglia umide, mani tremanti nel saluto ai vincitori; ma soprattutto esercizio di un dovere, dovere triste, dovere necessario alla tutela di una popolazione privata dei suoi uomini più validi e fiaccata dalle lunghe sofferenze di tre anni e mezzo di guerra.

Sulla grande strada passavano cavalleggeri al piccolo tratto, le mani occupate a sostenere sottili asticelle coronate da piccole bandiere; automobili dei comandi; "autocarrette" della Sussistenza; "motocariole" (side-cars) dei reparti mobili, biciclette dei bersaglieri e poi, finalmente, reparti compatti di fanti, di alpini: i veri, i definitivi conquistatori del campo di battaglia. Eppure, davanti a tutti, avanzavano radi reparti di alpini e di artiglieri da montagna che portavan con sé i loro piccoli cannoni da 65 mm., comandati organizzare ponti, bivi, stazioni di tappa, via via, venivano raggiunti e occupati. Uno di questi reparti mobili e leggeri era comandato da mio padre e avanzava verso Vipiteno secondo il ritmo rapido e disinvolto seguito fino allora, dal Tonale in poi. Poi, di colpo, i drappelli primi ad avanzare vennero fermati e ridistribuiti secondo indicazioni nuove in tutto. Cos'era successo? Notizie riportate dai Servizi di Informazione e da amministrazioni atesine preoccupate, parlavano di un rapido ricostituirsi di un corpo d'armata tedesco da montagna affiancato da reparti tirolesi non ancora arresi, destinati a creare un nuovo fonte tra la sponda nord della Val d'Ultimo, la Palade e la Val d'Adige, contro gli italiani avanzanti dal Tonale e da Trento. Si susseguono rapidi i nuovo ordini; vengono preparati e distribuiti rifornimenti per più giorni; i piccoli reparti da montagna cambiano itinerario.

La squadra di mio padre ritorna all'indietro e risale presso Merano, supera la città da Est e si trattiene per poco tempo a Rifian. Poi si dirige su, su per la Val Passiria verso Moos e Sankt Leonhard. Fin lì non avviene nessun malincontro ma., dopo Corvara, si profila alta e incombente la salita verso il Timmseljoch (Passo del Rombo) che alcune informazioni segnalano come già occupato dagli Edelweiss germanici. Ma v'è ancora una balza prima dell'ultima saluta verso il valico; una sorta di terrazzo montano al limite tra le ultime ceppaie d'alberi e i magri prati d'alta quota. Su quel ripiano fa bella mostra di sé un grosso casolare rustico, un maso; l'ultimo maso. Sarà occupato? Qualcuno da dietro le finestre starà spiando il drappello che avanza? Con armi in mano, forse? Non si deve rallentare: la sorpresa può esserti amica per una volta sola. Mio padre s'avvicina con i suoi tre alpini. Raggiunge la porta. Nessuno si muove; nessuno fa rumore. D'impeto, con la pistola spianata, fa irruzione: dietro a lui si spiegano i tre fucili puntati degli alpini. La sorpresa è totale; la casa è occupata. Da chi? Un grande maestoso vecchio si para a scudo di difesa davanti a sei bambini spaventati. Che fare? L'arma cade a terra; due mani affannosamente afferrano e frugano gli zaini. Ora mio padre avanza con le mani alzate al cielo, a reggere due pagnotte.

Al Timmseljoch non v'è nessun armato germanico. La guerra è proprio finita. Del tutto.

Alberto Fumagalli



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