Ve la immaginate una scena con centinaia di tronchi d'albero che, spinti dalla corrente impetuosa del Brembo, scendono dall'alta valle fino alla pianura? Impensabile certo, se si pensa al nostro fiume d'oggi, ridotto com'è spesso ad un rigagnolo. Ma era uno spettacolo abituale fino a poco più di cent'anni fa, descritto già nel lontano 1596 da Achille Muzio nel suo Theatrum: "…scendono precipitosamente legni e travi, e i pioppi e i larici e gli abeti certano tra loro e ne fremono le percosse rive, mentre giovani vigorosi li traggono dal rapido vortice". Occorre naturalmente un certo sforzo d'immaginazione e pensare come poteva essere il Brembo prima di essere imprigionato a monte entro decine di bacini artificiali, e di veder poi deviate a valle le sue acque in una fitta rete di canali. E' un fatto del resto che quello della fluitazione è uno dei temi più ricorrenti nelle descrizioni storiche della nostra valle (ma si vedano anche alcune tele di C.Chapon di metà Ottocento ambientate
alla confluenza dell'Enna nel Brembo a San Giovanni Bianco). Il legname veniva solitamente immesso nelle acque all'arrivo delle piene primaverili, dopo essere stato fatto scivolare a valle con il metodo della "soenda", ossia mediante piste o scivoli creati nei tratti più ripidi sulla neve ghiacciata
o su tronchi scortecciati e bagnati. Dal verbale del 21 dicembre 1852 di una commissione incaricata del sopralluogo per una "sovenda" che
andava da un punto sotto Ca' San Marco fino a Mezzoldo veniamo a sapere che essa poteva accogliere fino a 25.000 tronchi d'albero e che
vi erano impegnati 50 boscaioli.
Su ogni tronco veniva poi inciso un marchio apposito, affinchè potesse essere riconosciuto dai vari proprietari quando era tratto a riva. Ma la fluitazione, sia pure più raramente, poteva essere effettuata anche nei periodi non di piena. In questo caso si procedeva alla costruzione di palizzate sino a formare un laghetto artificiale in cui era fatto confluire il legname. Quindi si rompeva la diga e la massa d'acqua trascinava a valle le "borre". Peraltro non sempre senza perdite, stando a diverse segnalazioni di esposti da parte di proprietari che denunciavano la scomparsa di parte del legname. Lungo il fiume erano poi dislocati i flottatori o "boreler", descritti nelle cronache mentre, muniti di lunghi bastoni arpionati, balzano come equilibristi da un tronco all'altro in mezzo al fiume. Il loro compito era quello di disincagliare il legname nei tratti più accidentati e di evitare che andasse ad urtare contro i caseggiati che sorgevano sulle rive, in particolare mulini e segherie. I luoghi di destinazione potevano essere le anse di fondo valle a San Giovanni Bianco o a Zogno, dove il legname veniva poi avviato alle segherie, ma più frequentemente esso era tratto a riva ad Almenno e Ponte San Pietro. Non era però infrequente il caso che il legname venisse fatto confluire nell'Adda. Al riguardo esiste una ricca documentazione riguardante legname fatto arrivare a Vaprio o anche più sotto a Cassano, dove veniva poi caricato su barche e zattere che imboccavano i canali Martesana e Muzza. Ma torniamo alle "cronache" che testimoniano la fluitazione sul Brembo nel corso dei secoli. Dello sfruttamento del nostro fiume come via di trasporto per il legname si parla già nel Duecento a proposito della forte domanda di legno nella città di Bergamo per le fornaci da laterizi. E del 1330 è un documento in cui tal Mantone, della nobile famiglia dei Capitani di Mozzo, viene investito del privilegio di "avere uno per ogni cinquanta dei legni condotti a Bergamo con le acque del Brembo". Di pochi anni posteriore, 1356, è un atto notarile conservato presso l'Archivio Storico Bergamasco in cui si attesta che un certo quantitativo di legna "menaticia" doveva essere consegnato sulla riva del torrente Parina, per scendere poi a Zogno fluitando lungo il Brembo. Nella stessa cartella un altro atto riferisce di tronchi di abete e larice della Val Fondra che avrebbero dovuto fluitare attraverso il Brembo e l'Adda addirittura fino a Lodi. E' del resto documentato da più parti che nel Quattrocento Milano si riforniva in gran quantità del legname della Valle Brembana. Lo sfruttamento delle risorse forestali costituiva dunque già in pieno Medio Evo un fattore assai importante nell'economia della nostra valle e ulteriori conferme vengono poi dai documenti storici del Cinquecento e del Seicento. Nella Descrizione di Bergamo e del suo territorio del 1596 il rettore veneto Giovanni Da Lezze, parlando della Valle Brembana, scrive che "questa gente traffica in borre che tagliano nei monti superiori di Valleve intorno 3.000 l'anno, che conducono giù per il fiume Brembo fino al Ponte di S.to Pietro di dove poi con carri et mulli conducono a Bergamo per brugiar". Nella sua Descrizione il Da Lezze passa poi in rassegna anche la Val Taleggio affermando, tra l'altro, che "dal monte Monterone ogn'anno si fa un taglio di borre di grosezza inestimabile et non si possono quelle condur per altra strada che per la fiumara detta la Taietta et perciò sono per l'ordinario compre da Bergamaschi che possono esser ogni anno intorno 12.000". Un'altra citazione ancora è quella tratta dalla Historia Quadripartita di Bergamo e del suo Territorio di Padre Celestino Colleoni del 1614 dove si racconta che "per lo Brembo si conducono quando vengono le piene ogni anno più di cinquecentomila borrelli, che sono tronchi d'alberi d'una longhezza limitata, e si togliono tutti nelle selve delle Valli sudette, che menano acque, servono alla Città per abbruggiarsi nelle case, nelle fornaci, nelle tintorie, e in altri si fatti edifici. Vi si conducono anco migliaia di borre di abeti, e larici per le fabbriche". La fluitazione continuò poi per tutto il Settecento e l'Ottocento. Assai interessante è in tal senso la documentazione recuperata dal prof. Tarcisio Salvetti relativa a licenze rilasciate tra il 1811 e il 1815 per la "condotta" lungo il Brembo e l'Enna di centinaia di migliaia di legni da opera e da fuoco messi in acqua ad Ornica, Piazzatore, Taleggio, Lenna ecc. (meno in Val Fondra a causa delle numerose rapide del tratto fra Branzi e Lenna. Citiamo fra decine e decine di licenze alcune tra le più significative: - 24 dicembre 1811: 10.000 "legni da opera e da fuoco" da Piazzatorre alle Ghiaie di Almenno e all'Adda. - 22 gennaio 1812: 23.000 "legni da fuoco" da Taleggio ad Almenno San Salvatore attraverso l'Enna ed il Brembilla. - 5 febbraio 1813: 5.000 tronchi di abete da Ornica ai "porti" di Villa d'Almè e Ponte San Pietro. - 12 febbraio 1813: 8.000 tronchi d'abete "dal luogo detto il Faggio in Mezzoldo" al "porto"di Paladina. - 4 marzo 1813: 36.000 "legni da fuoco" dalla Roncaglia, da Romacolo e dalla Valle dell'Ambria a Villa d'Almè. - 7 marzo 1813: 7.000 tronchi di abete e larice da Valleve a Villa d'Almè. - 27 marzo 1814: 10.000 "legni da opera" e 6.000 "borrelli" da Lenna a Ponte San Pietro. - 22 gennaio 1815: 20.000 tronchi di faggio, carpine, noce e tiglio da San Giovanni Bianco a Ponte San Pietro. Il prof. Salvetti cita poi anche i nomi dei commercianti di legname più attivi nel periodo citato: i fratelli Steffani e Giovan Battista Milesi di San Giovanni Bianco, i fratelli Pesenti di Zogno, Giuseppe Magnati di Mezzoldo, Natale Calvi di Piazza. A segnare il declino della fluitazione vennero poi nei decenni seguenti due fatti: il selvaggio disboscamento effettuato sulle nostre montagne (che in effetti nelle fotografie d'inizio Novecento appaiono quasi ovunque desolatamente brulle) e gli interventi del governo austriaco sulla viabilità della valle tra il 1822 e il 1840 che consentirono di rendere percorribili gran parte delle nostre strade da carri a quattro ruote. Sul Brembo continuarono così a fluitare soltanto i tronchi più grossi e quelli lunghi fino a sei metri. Tratto dall'Annuario C.A.I. alta Valle Brembana |