Nella sua agenda-diario, il "medico camminatore" annoterà dal primo gennaio 1918 al 2 novembre dello stesso anno, le condizioni delle strade, quelle del tempo ed i chilometri effettuati; e risulterà aver percorso,in dieci mesi, interamente a piedi, ben 5.700 chilometri, che riesce a valutare con il "podometro". Pertanto, negli 84 mesi in cui assolverà all'impegno delle due condotte, percorrerà 48.000 chilometri: valutate voi. L'abnegazione ed il coraggio di quest'uomo che ha quasi 50 anni sono stupefacenti; ma egli non pensa ai suoi sacrifici, bensì ai due fratelli Modesto ed Antonio ed al nipote Carlo impegnati in guerra in prima linea. Una volta, mentre si reca da un ammalato nella frazione di
Valtorta, vede un vecchio seduto nel mezzo di un prato, in un atteggiamento meditabondo; gli si avvicina, gli chiede se ha bisogno di qualche cosa; quello gli risponde con un filo di voce che sta recitando il rosario, per coloro che muoiono in quel momento. L'eco portava in quell'ora il rimbombo del cannone che tuonava lontano sulle Alpi Venete. Il medico è colpito dalla fede semplice di quell'uomo umile e si commuove.
In una mattina d'inverno, nella quale ogni più piccolo rumore è attutito dalla neve appena caduta, egli intravede da lontano una figura femminile che faticosamente procede lungo la sua stessa strada. Presto le è vicino e viene a sapere che è una maestra elementare che va a Valtorta in supplenza e piangente gli dice: "E pensare che a Sanremo c'era tanto sole". Veniva dalla tiepida città Ligure e per guadagnare di che vivere, aveva lasciato la sua famiglia, la sua gente, per andare in un paese che in quel momento ed in quella stagione le appariva quasi ostile. Il medico Bonandrini era solidale con le maestre e con i medici che erano dipendenti comunali ed avevano rapporti non sempre armoniosi con gli amministratori locali. Lo troviamo a Piazza Brembana il 15 ottobre 1922, allorché l'onorevole Bortolo Belotti premierà i maestri più anziani e, fra i 21 premiati, ricordiamo Angela Zanni di Piazzatorre, che insegnò per 44 anni, e Giovanni Berera di Foppolo, per il loro impegno nella lotta contro l'analfabetismo della
Valle Brembana. Appoggiò il "Comitato Pro Lana", fondato da Lucia Fenili, moglie di Giuseppe Arizzi sindaco di Piazzolo e consigliere provinciale, la quale con altre persone, raccoglieva la lana prodotta in loco, per essere lavorata e filata dalle donne di questi paesi per la produzione di guanti, berretti, pettorine, ventriere, calzini da inviare ai nostri soldati che combattevano al fronte sino alle quote di 3.000 metri. Per beneficenza, egli organizzò con la signora Lucia, concerti vocali che si tennero a
San Giovanni Bianco,
Piazza Brembana,
Olmo al Brembo e
Zogno, nei quali era pianista accompagnatore e direttore artistico. La gente di Piazzolo e di Mezzoldo lo accoglie molto bene e vede in lui un amico; sono molti i momenti che passa all' "Albergo di Giovanni Balicco", alla "Villa San Marco" di Balicco Stefano" o nell'osteria dell'Angelina con Salvini Ceco; si intrattiene con i vecchi, va a caccia con questi e non sono pochi i giorni che trascorre al roccolo di Gambetta. A
Piazzolo è molto affiatato; affermerà che "i gácc i è piö brae del sò sopranom". A Piazzatorre fa da paciere nelle diatribe fra il parroco e gli abitanti; sono gli anni in cui le ricche famiglie di Bergamo arrivano in paese e con queste egli intrattiene ottimi rapporti. Viene proposto dall'amico Bortolo Belotti e riceverà l'onorificenza di "Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia" nel febbraio 1922; riceverà congratulazioni sincere dai sindaci delle sue condotte e dal "Circolo Fratellanza e Soccorso di Casnigo".
Si mantiene aggiornato nelle pubblicazioni; in estate conversa con Don Giuseppe Legrenzi, letterato e musicista, con il Professor Guido Matusa, con Don Vittorio Carminati, tutti letterati, che concorreranno a creare a Piazzatorre un circolo di persone colte ed al tempo stesso facoltose. Nel 1925, in occasione dell'Anno Santo, egli si reca a Roma. Quando è necessario, sa anche dire con opportunità e tatto: "Due cose non hanno fatto mai male a nessuno, fare testamento e mettersi in pace con Dio". Nessuno dei suoi ammalati è morto senza averricevuto, per deplorevole ritardo, i sacramenti della religione cattolica, ed è per questo che i preti della sua condotta lo stimano, ed il medico ha dei buoni rapporti con loro; fra questi c'è Don Giuseppe Vavassori, parroco di Olmo, il quale fonda il Patronato San Vincenzo a Bergamo ed una colonia estiva a Santa Brigida; e Don Pietro Gamba, cappellano nella Grande Guerra. Don Battista Secomandi, parroco per 25 anni a Piazzatorre, morirà improvvisamente una mattina di marzo del 1905 e sarà proprio il medico Bonandrini ad accorrere prontamente al suo capezzale, ma non potrà fare altro che chiudergli gli occhi. Suona l'organo nelle Chiese; accade però che i fedeli, nel sentire musiche suonate da mani diverse dalle solite, guardano un po' troppo verso la cantoria, piuttosto che seguire le celebrazioni, per la sua bravura. Nel 1930 per l'ingresso nella Parrocchia di Piazzolo del giovane sacerdote Don Francesco Astori, chiamato dai suoi compaesani boscaioli emigranti in Francia "il nostro curato d'Ars", il Bonandrini compone per lui un sonetto; Don Francesco è mingherlino, proviene dalla Parrocchia di Camerata, è nativo di Dossena, i cui abitanti sono soprannominati "matti - mácc" e si contrappongono a quelli di Piazzolo soprannominati "gatti – gácc".
"O topolino che per tua malora venuto sei qui fra digiuni gatti, per te di pace non sperare un'ora, buone parole avrai, con tristi fatti. Rimpiangerai dall'una all'altra aurora l'aprico Camerata e i buoni matti della natìa
Dossena. Qui dimora solo colui che ha da scontar misfatti. Se nulla credi aver sulla coscienza Non ti fermar fra queste genti ignave. Sarebbe vana la tua penitenza. Dai retta a me: e per evitar dolori sotto l'uscio doman metti la chiave e pianta lì paese e abitatori". Il sonetto venne letto nello stesso giorno della solenne investitura e dopo il consueto banchetto, quando erano rimasti solo i Sacerdoti poiché gli abitanti e le autorità se n'erano appena andati; ma udendo le risate provenienti, dalla sala, questi ultimi proferirono: "Ol dutúr èl n'à déc öna dí só". Poco tempo dopo, Don Astori, incontrando il Vicario Generale a Bergamo, gli fece leggere il sonetto; "Guardi un po' cosa mi consigliano di fare". Il Superiore legge e ridendo di gusto dirà: "A scrivere questo non può essere stato che il Dottor Bonandrini". Il Bonandrini ebbe grande confidenza ed amicizia con Don Lisandro Locatelli e Don Clemente Manzoni; il primo parroco a Mezzoldo e proveniente dalla Valdimagna, aveva una cadenza dialettale caratteristica; il secondo invece, nativo di Olda in Valtaleggio, fu dapprima curato a
Carona, dove affrontò con coraggio gli animosi parrocchiani che non volevano la seconda chiesa e gli impedirono il ritorno a casa. Fu poi parroco di Piazzatorre per 19 anni e la sua bella voce di baritono echeggiava in chiesa durante le Messe cantate e fu vicino al Bonandrini durante la sua vecchiaia.
Il nostro medico, già dal 1923 componeva sonetti in dialetto e proseguì durante tutta la sua vita, e si firmerà "Pichetù Batistì"; questa sua passione lo portò ad essere Duca del "Ducato di Piazza Pontida". Era anche Socio, sin dal 1923, della Società dell'Arte; era molto conosciuto negli ambienti culturali di quel tempo. Causa le precarie vie di comunicazione, poiché la ferrovia arriverà a Piazza Brembana solo nel 1926, aveva difficoltà a stabilire dei rapporti con il mondo culturale e letterario della città. Già l'amico Ivano Giovanni gli scriveva nel 1914: "Lascia le tue peghere"; il medico invece preferirà rimanere nella sua condotta e ricevere i numerosi amici letterati nella sua casa. Storico e ricercatore, ci lascerà una traccia su Piazzatorre; nel 1929 viene nominato Ispettore onorario dei monumenti degli scavi ed oggetti di antichità d'arte per il territorio della Valle Brembana superiore. E' ormai troppo vecchio, siamo nel 1937,quando gli viene offerta la condotta in Valbondione; "non voglio lasciare le mie ossa su una strada dell'alta Val Seriana" egli disse. Il 2 gennaio dello stesso anno viene festeggiato a Piazzatorre, in segno di riconoscenza per i suoi 38 anni di ininterrotta attività medica svolta nei nostri paesi. Egli commosso intrattenne piacevolmente le oltre 150 persone presenti, essendo un buon oratore; volle ripercorrere tutta la sua vita dal 1898 sino al 1937, a disposizione della gente di queste montagne. Parlò dell'evoluzione avvenuta in questi paesi, delle vie di comunicazione, dei miglioramenti sanitari di quegli anni, "ora il malato può raggiungere Bergamo". Ringraziò le popolazioni tra le quali "trovai la pace di cui avevo tanto bisogno e fra le quali ho vissuto per tanti anni". Terminò il suo intervento con queste commoventi parole: "Conservate buona memoria di me come io la conserverò di voi". Morirà a
Piazzatorre il 17 marzo 1940, domenica delle Palme, lasciando scritto: "I miei funerali siano affatto modesti e vi partecipino solo i preti della mia condotta". A lui venne dedicata una via nei paesi di
Mezzoldo e Clusone, mentre a Casnigo, suo paese natale, la piazza principale. Ecco il ritratto del dottor Bonandrini, scritto da Luigi Volpi: "Gagliardo nella persona, alto di statura con ampio torace e larghe spalle, il viso rubizzo, serio alle volte e meditativo, spesso ilare più che giocondo, l'occhio azzurrigno mite e pacato, la fronte vasta e pensosa, figura bonaria e paterna che suscitava istintivamente nel nostro spirito serenità ed affetto".