Toponomi:
è derivato e scaturito da vari nomi: “Merzolo -Merzolino” sino al XVI’ secolo si identificava in "Vallis Ulmis".
MEZOLT e le sue Frazioni:
Cà Bonetti - Cà Vassalli - Soliva - Sparavera - Cà Maisis - Cà Berer - Scaluggio - Fraccia - Acqua - Riva - Castello
Popolazione: anno 1596 abit. 310 - 1776 abit. 170 - 1805 abit. 230 - 1901 abit. 403 - 1951 abit. 516
Soprannome:
i “balabiocc dè Mezolt” Il passaggio di forestieri lungo la Via Priula e le loro soste in paese hanno influenzato i costumi locali.
Toponomi del territorio comunale dal n. 1 al n. 925 catastali (anno 1830):
Sotto Chiesa - Ronchelli - Mezzoldo basso - Chiesa - Mezzarola - Stenchetto - San Rocco - Stretta dei cani - Palazzo - Vendullo - Seggiole - Brusada - Berera - Lisca - Canali - Ronco - Cà Noa - Molino - Fucina - Pezza - Scaluggio - Sèra - Còrèn - Fopa - Gambeta - Ancogn - Chignol
- Pùt - Prà Chiesa - Acqua - Cogn - Castel - Faggio - Melzane - Pigolotta - Fraccia - Riva - Pelosco - Ancona - Gèra - Azzaredo - Cavizzola - Celtro - Terzere - Ronchi - Prà di Là - Prà Pasino - Malicco - Sparavèr - Piazzoli - Rajdoni - Pajada - Caroncelli - Soliva - Valli - Calici - Pianca - Ronchetto - Ronco - Costa Vega - Cà Bonetti - Pià dè là Vià - Costa - Longhina - Valle del Chiuso.
Soprannomi degli abitanti:
i maghé dè Scalocc - i mistrai - mèrle bianc - nigre - frèr - preost dei fasòi - tòne - arioli frà - fabiòle - i prìme - misare - pito - trelle
- dulze - bondine - borage - allea - casèi - lingèra - pinòto - pì del tòne - pacì - mazzòle - trola - brùsa - i ros - brendi - angei - i marche - bobèt - lere - tole - campanèl - morèti - bindola - casèr.
Luoghi sacri e pubblici:
Cimitero – Oratorio di San Rocco – Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista e piazzale antistante
Ol palaz: E' l'unica Dogana che sorgeva lungo la Via Priula.
Cognomi possessori e ceppi famigliari (1811):
- Angeloni - n. 14 Arioli - n. 8 Balicco - Busetti - n. 12 Belotti - Calvetti - Calvi - Comune di Mezzoldo e Sorisole - Donati - n. 10 Garbelli - n. 3 Goglio - n. 6 Gorla - n. 2 Gualteroni - n. 3 Lazzarini - n. 7 Magnati - Manzoni - n. 3 Marieni - Milesi - n. 6 Molinari - n. 3 Papetti - Ragazzoni - n. 3 Rossi - n. 5 saltarelli - n. 7 Salvini - n. 5 Stracchi
Economia (anno 1830):
molino da grano: Saltarelli Gio. Batta local. Molino - Pesta "Tommaso"
molino da grano e sega da legname: Balicco Sacerdote local. Porto
fucina da ferro e maglio e sega da legname: Salvini Stefano local. Scaluggio
maglio da ferro grosso: Milesi Sacerdote local. Fùsina
Notai che rogitavano in paese:
Lazzarini Bonetti Basilio (1680) - Dominoni Giuseppe (1705) - Lazzarini Bonetti Lazzaro (1726)
Sentieri C.A.I.:
n. 101 - n. 111: Rif. Madonna delle Nevi – Forcella Rossa - n. 113: Sparavera – Cà San Marco - n. 114: Ponte dell’Acqua – Cà San Marco - n. 115: Ponte dell’Acqua – San Simone - n. 135: Ponte dell’Acqua – Alpe Gambetta - n. 124: Rif. Madonna delle Nevi – Bivacco A. Zamboni - n. 124/A: Local. Fraccia – Bivacco A. Zamboni - - senza numero: casera Azzaredo – casera Cavizzola.
Passi del paese di Mezzoldo:
di Budria - di Cavizzola (Clavicòla) - Forcella Rossa - San Simone - n.b. i passi fra paesi vengono chiamati "colla", come nel Canton Ticino.
Mezzoldo le sue valli e vallette sono:
Al de l’Acqua colda - Canal de la Sèra - Al de Sigadola - Al de fopa Butìs - Al del Cius - Al de Ancogn - Al de la Sulia - Al de la Ventulusa - Canal de la Sort - Al del Bresà - Al Scura - Al del Fiorèr - Al de Parìs - Al d’Aral - Al Domino - Al de Caisciòla - Canal de Pisabela - Al dei Scilter - Canal del Furen - Al de Terzèra - Canal de Scalogì - Canal del Pasì - Casciù e Chignolo.
Leggende e curiosità: Da Carlo Traini Musica e musicisti in Valle Brembana.
Non si finirebbe più se si parlasse di tanti organisti improvvisatisi a forza di buona volontà e di innata perspicacia d’uno spirito intraprendente. Si ricorda a caso un Arioli di Piazzatorre, un Berera di Branzi, detto “l’angelo della Valle”, perché, oltrechè organista, essendo viaggiatore di macchine da cucire, lo si trovava dappertutto, un Calvi detto Pacio di Valnegra e chi sa quanti altri, tra cui quel Calvi venerando maestro della terza elementare delle scuole dell’Opera Pia Gervasoni di Valnegra, organista a San Martino di Piazza Brembana per una quarantina d’anni,
morto quasi centenario nella frazione del Cantone S. Francesco di Lenna, dov’era nato e sempre
vissuto.
Un cenno particolare merita anche l’organista di Mezzoldo, Stefano Balicco detto “Mandibola” - “ol Trola”, tipica macchietta indimenticabile per chi l’abbia visto anche solo una volta. Smilzo e un po’ curvo della persona un po’ allampanata, vestito sempre di nero, col suo cappello duro, un colletto rigido come un collare, due rozzi scarponi polverosi che, all’estremità d’un paio di calzoni stretti ai polpacci e alla caviglia, parevano ancor più sgangherati, era inseparabile da un logoro ombrellaccio ch’egli impugnava per la punta anziché per il manico. Era spesso in giro da un capo all’altro della Valle, ed anche più giù, a suonare un piccolo armonium portatile nelle osterie e in qualche cortiletto, accompagnandosi con una specie di tic nervoso che gli faceva fare tante boccacce e smorfie del viso male rasato, tanti strabuzzamenti degli occhi, ch’era uno spasso solo a starlo a vedere. Eseguiva pezzi d’opera, manipolati a suo modo e altre suonate di sua invenzione, gelosamente raccolte sopra una specie di piccolo album che teneva sotto gli occhi quando suonava. Formidabile mangiatore (dal che il suo soprannome), una volta fu invitato, insieme ad un tizio altrettanto vorace, in casa del dott. Bonandrini medico di Piazzatorre, il quale aveva detto: “Voglio vedere se mi stancherò prima io di dar da mangiare a quei due o loro di rimpinzarsi”. Si stancò prima lui, e nessuno dei due scoppiò, ne ebbe a soffrire il minimo disturbo gastrointestinale.
"ol Trola" è
Stefano Balicco (1862-1942) da Sparavera. Con il padre Giacomo, (+1909) costruisce, in contrada Bereri al n. 28, l’Osteria “La Posta” nell’anno 1889.
La “Corna del Gioanì”
Vi era a Mezzoldo, molto tempo fa, un brav’uomo di tarda età, chiamato “Gioanì” che sapeva aggiustare “sapèi” e calzature varie di quei tempi. Nei periodi caldi, essendo l’afa molto opprimente in paese, soleva prendere i suoi attrezzi, incamminarsi lungo la “Priula” e fermarsi poco prima del ponte “Contagocce” al fresco per svolgere il suo lavoro. Un giorno, mentre faceva il suo lavoro, venne sotterrato da un grosso macigno staccatosi dalla montagna soprastante (se si guarda bene, ve ne sono di enormi ancora oggi. E prima o poi si staccheranno). Si trovarono solo gli utensili, di lui più nessuna traccia. Da quel giorno, quando si passa in quel luogo, le madri rammentano ai ragazzi: “Questa l’è la Corna del Gioanì”. Industria della seta (‘500) Nel 1500 si sviluppò anche l’industria della seta: e se è vero che, per testimonianza del Mikiel, gli uomini dell’Alta Valle andavano a tessere “pannos sericos” a Milano. Nel 1584 il Renier consigliava al governo di far passare, per la strada di “Cà San Marco”, tra l’altro anche le sete.
Dominique Vivant Denon (8 novembre 1793):
“Arrivati alle due a Mezzoldo, entrammo nella locanda e credetti di essere giunto in una capanna di Lapponi. Un raggio di sole entrava da un abbaino e attraversava una spessa colonna di fumo che usciva dall’abbaino e dalla porta, le due sole aperture di questo piccolo tugurio. Alla luce del focolare, acceso per terra al centro del rifugio, intravidi alcune persone del colore della pece le quali, appena ci videro entrare, appesero un grande pentolone a una catena di ferro che pendeva dalla volta del fuoco. Una donna, che mi disse di avere cinquant’anni, aveva l’aspetto di una novantenne.
Quando l’acqua bollì gli venne gettato del riso con dei pezzi di carne bovina salata che sembravano vecchie suole, tanto d’averne un po’ preso il sapore. Ci fu servito tutto ciò nella sala da pranzo che era più fredda e non meno nera della cucina. Un po’ di formaggio e qualche noce
furono il nostro dessert, prima che ci rimettessimo in viaggio. Lasciammo in fretta i coltivi e salimmo attraverso foreste
di abeti, dalle quali i boscaioli facevano rotolare i tronchi dalla sommità sino in fondo ai valloni, con un fracasso ed una distruzione tremendi. Presto superammo le montagne boscose e ritrovammo solo neve e spuntoni di roccia ad indicarci la strada. La neve, sulla quale si era formata una specie di crosta ghiacciata, pareva in un primo momento reggerci, ma subito dopo cedeva sotto i piedi tanto da sommergerci fino alla
cintura. La mia guida mi tirava fuori di lì, altre volte ero io a farlo, e tutti due andavamo a soccorrere il povero cavallo che soffiava e faticava con un coraggio, una pazienza e un’intelligenza ammirevoli. Verso l’una ora del giorno, arrivammo ad una baita malconcia chiamata Ancogno, che in altre parti si userebbe come stalla. È qui che apprendemmo che si era stabilita una famiglia, alla quale la repubblica di Venezia dava duecento scudi, e che si sacrificava da duecento anni a sottostare a un inverno eterno con l’obbligo di mantenere quattro buoi necessari a tenere aperto il passo e a soccorrere i viandanti in caso di pericolo. Tuttavia lungo il percorso noi non avevamo incontrato nessuno, e se per caso un tale che spaccava legna sull’uscio non ci avesse fermati, noi saremmo andati a cercarli fino alla Casa San Marco, che è il rifugio istituito dal governo posto un miglio e mezzo più sopra, e l’avremmo trovato deserto.
Al pensiero che bisognava sostare in quella baita dalle cinque di sera sino alle otto del giorno seguente, rabbrividii. Stesso fumo come a Mezzoldo, una dozzina di persone intorno al fuoco, senza che fosse possibile distinguere chi si aveva di fronte. La fiamma dell’abete e due lanterne non facevano che una luce troppo fioca che non ci lasciava scoprire i muri dello stretto luogo in cui eravamo. Sentendomi soffocare, con gli occhi in lacrime e la gola irritata dal fumo, feci per aprire la porta per respirare un poco, ma un’aria gelida e penetrante mi rimandò al focolare. Vi era là una donna la cui testa poggiava su un solo gozzo della grossezza delle due tette di Madame Gambara. Malgrado il modo di vivere, queste persone sono oneste, gentili e di buona conversazione. Uno di loro era stato sei anni a Venezia ed era ritornato ad Ancogno. E’ proprio in questo caso che veramente si può applicare il verso di Tancredi: ”A tutti i cuori ben nati la patria è cara!”. La cena fu come quella di Mezzoldo. Come erano lontane le delicatezze asiatiche di San Giovanni Bianco! Per entrare nel locale che chiameremo camera da letto, bisognò aspettare che il fuoco si fosse spento, perché entrandovi il fumo non c’era modo di farlo uscire; bisognava, dunque, attendere che il fuoco si estinguesse per poterci stare. Ero destinato a dormire con la mia guida. Avevamo messo sopra le coperte tutti gli stracci più pesanti che avevamo, eravamo oppressi dal peso e tuttavia il freddo arrivava fino alle nostre ossa. A quest’altezza l’aria è così rarefatta e penetrante che il calore del sangue non può mantenersi se non con il fuoco o il movimento. A mezzanotte si alzò il vento e mi spaventai al pensiero che esso avrebbe potuto bloccarci in quella tana. Al sorgere del sole il vento si calmò, ci alzammo per accendere il fuoco. Si fece la polenta e partimmo con due uomini di quella famiglia, la mia guida e il facchino sulle cui spalle vi era la metà del bagaglio”. Verso San Marco.
Anno 1901 da "La Nuova Italia". Abitanti: 403
Degna di nota è la Chiesa Parrocchiale, adornata di buoni dipinti. Nella Località “Castello” sorgeva un tempo una rocca, di cui rimangono ancora le vestigia. Il territorio montuoso, con una superficie di 1783 ettari, è in gran parte ricoperto da estesi boschi ed ampi pascoli. Ha cave di marmo testaceo, detto “lumachella”, e miniere di ferro spatico.
Anno 1951 da “Luigi Dodi” m. 835.
E’ l’ultimo paese sull’omonimo ramo del Brembo. Fra montagne altissime e dirupate si è sviluppato sulle balze alla destra del Brembo, dove, rispetto al sole, la situazione è meno infelice che altrove. In origine, due nuclei rustici molto modesti lungo la mulattiera a monte, che passa attraverso porticati; minuscole stradette e scalinate tipicamente montane serpeggiano tra le vecchie e povere case formando di quando in quando qualche slargo o distacco che lasci penetrare il sole. Vestigia di una fortezza indicano l’importanza che la località aveva nel Medio Evo per la difesa del settentrione. La chiesa riabbellita e consacrata una prima volta nel 1446, fu poi dotata, come è noto, dalla celebre tavola di Lattanzio
da Rimini del 1505. Appartenente alla diocesi di Milano (dalla quale fu distaccata soltanto nel 1784), conserva tuttora il rito ambrosiano. Rinnovata nel 1754 (e restaurata recentemente nel 1945), sorge isolata alquanto lontana dal paese in un luogo pieno di poesia. L’importanza di Mezzoldo ebbe un notevole impulso alla fine del Cinquecento con la costruzione della Strada Priula che costituì, come si è detto, la più rapida e agevole comunicazione col confine della Serenissima al Passo di San Marco e quindi con la Valtellina allora soggetta ai Grigioni. Mezzoldo divenne sede della Dogana Veneta, di cui vedesi ancora oggi il palazzotto dall’architettura ottimamente scompartita e ravvivata con decorazioni settecentesche. Il territorio montuoso, tutto a boschi e pascoli, ebbe in passato qualche rinomanza per le miniere di ferro che fornivano il materiale ai forni di Lenna e alle fucine dei dintorni. Ma la popolazione non andò mai al di sopra di qualche centinaio di abitanti: e oggi i residenti sono 524, i presenti 469, tanto è notevole l’emigrazione. Punto di partenza per escursioni alpine Mezzoldo, dotato di qualche albergo, si è rinnovato con diverse case di affitto per il soggiorno estivo.
Tratto dall'Annuario 2006 del C.A.I. alta Valle Brembana