Dientà Foréstér di Alberto Fumagalli

Emigrare: diventar forestieri due volte in un solo atto. Doppio infatti è l'abbandono: è un escludersi definitivo alla terra materna e assieme è un distacco difficile da colmare con la nuova terra che ti accoglie e lento nel tempo, da non bastar quasi una vita intera per annullarlo. Doppia ferita e doppio dolore perciò; impossibile da rimarginare e cancellare.

Il ".... novo peregrin".... dantesco si fa modello universale di tutti gli emigranti e gli esiliati. In una fumosa osteria della Valle Brembana, con Roberto Leydi, registriamo un canto alto e solenne:

.... Noi siam partiti un giorno al chiaro di luna,
noi siam partiti in cerca di un poco di fortuna;
ma piange il cuor quando si va lontano,
e questo l'è il destin
questo l'è il destin del povero italiano!
La mamma e la morosa abbiamo abbandonato,
i mari e le montagne abbiamo scavalcato ……

E mi tornavano alla memoria altri canti d'altre regioni; uno in particolare:
.... ma nèla Mèrica co semo rivati,
no abiam trovato né paglia né fieno,
abiam dormito sul nudo terreno
come le bestie che i va a riposà ....

parole che, unite alle prime rendono con estrema evidenza l'intensità  del duplice dolore di chi s'allontana definitivamente dalla terra amata. Tra il 1.870 e il 1.900, novantamila giovani famiglie di contadini del Veneto e della Lombardia si trasferirono nel Rio Grande do Sud (Brasile): di queste, circa diciannovemila erano bergamasche. Durante un incontro – conferenza a "Caxias do Sul" tentai di riconoscerne le provenienze. Avviai, a due voci, quel canto citato avanti e registrato in Val brembana: vidi, di colpo, alcune persone agitarsi piangfendo e venirmi incontro: una gridava senza contenersi: "Questa, questa sì ora ricordo: proprio questa cantavano!". Tentavo di riconoscere fisionomie o accenti nelle loro parole che ne suggerissero la discendenza. Impossibile. Bergamaschi erano però, di stirpe, anche se la loro terra era perduta, i cognomi eran perduti, e perduto il linguaggio degli avi e i canti, perduti anch'essi, tranne uno a cui si aggrappavano, un filo musicale per ricostruire un confronto, un dialogo con gli avi emigranti del passato, con la generazione della speranza  e del dolore approdata su quella terra lontana, più di cento anni prima. Incontri emozionanti, indimenticabili: ma non i soli. Tenevo un corso per operai che avevan conseguito la sola licenza elementare: cercavo di farli scrivere cose e avvenimenti importanti della loro esistenza. Tanti di quegli scritti  ho conservato, per la freschezza e la profondità dei concetti espressi: uno però mi colpì sopra tutto e ancora lo tengo caro. Parla dell'emigrazione vista dalla parte di chi resta. Non ritengo di dover farne il commento; lascio al lettore il piacere di entrare in questo scorcio di vita vissuta nell'età fanciulla nelle famiglie dimezzate e diventate "forestiere a se stesse" due volte.






 

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