Le case rurali e, più su, le baite degli alpeggi erano tutt'uno con l'ambiente e con l'uomo che le abitava. Ora rischiano di cadere nell'abbandono perché chi popolava gli angoli e le contrade più disperse delle nostre montagne a poco a poco se ne va.
Nè del resto si possono biasimare quanti hanno fatto questa scelta, quasi obbligata, con la giusta aspirazione d'assicurare a se stessi e alla propria famiglia migliori condizioni di vita. Forse non rovineranno subito a valle gli enormi predù che fanno da tetto agli antichi ricoveri della Valle d'Inferno, ma per quante altre baite il pericolo è imminente! Soleggiate, fuori dalla portata dai venti e delle slavine, rivendicano la testimonianza più eloquente della presenza dell'uomo nella natura secondo equilibri che oggi trascuriamo con eccessiva disinvoltura, trascinati come siamo, dal miraggio di false speculazioni. La baita era innanzitutto una casa che doveva e poteva vivere nel posto e nel tempo in cui veniva edificata. Era quindi necessario prevedervi il ricovero delle persone e degli animali, con la possibilità di adibirla a laboratorio caseario. Addossata al fianco dei declivi dissodati a forza di braccia, sorgeva spesso al centro di un'area disboscata non lontano da un limpido ruscello. C'era quanto bastava per far durare la vita. La sua costruzione era poi una gara di solidarietà che riuniva tutte le famiglie della contrada in un fervore di crescita che, certo, non poteva cancellare la fatica, ma dava al lavoro di tutti la soddisfazione di uno scopo sociale che noi oggi neppure immaginiamo. E così, pietra su pietra, l'impasto di calce amalgamava anche i cuori e scaldava gli animi. Noi, che oggi ci interroghiamo perplessi sul valore corale della musica mentre per lo più sappiamo solo ascoltare altri che cantano, non avremmo allora esitato a cantare in prima persona e tutti assieme. Il cantiere si apriva dove già il capofamiglia aveva cominciato a tracciare il terreno per lo scavo delle fondamenta. Con badile, mazza e piccone non si aprivano grosse ferite nel fianco della montagna; anzi dopo aver rimosso le zolle superficiali, si cavava la pietra e tutto il materiale veniva accantonato con cura per essere riutilizzato nel modo più conveniente. L'occhio si abituava a scegliere i blocchi meglio squadrati per farne testate d'angolo dei muri maestri, mentre il terriccio grasso e umido veniva raccolto nei gradoni delle sèe, raddoppiando l'humus del prato dove si sarebbe coltivato l'orto o il campo di granoturco. I sassi scomposti, che interrompevano il verde e urtavano il lavoro della falce, venivano allineai a formare i muretti che, stretti a cerchio, delimitavano i barèch: i recinti per gli animali.
E noi, che potremmo ringraziare d'avere a disposizione il materiale a minor costo e potremmo metterlo in opera con l'ausilio di moderne tecniche cantieristiche, preferiamo invece soluzioni ancora più spicce, ma senz'altro meno decorose ne pregevoli come i monumenti che ci lasciamo alle spalle. In ogni caso, usando solo materiali del posto, quando la costruzione era ormai
delineata, colore e forma non erano diversi dai toni della natura circostante, come se qualcuno avesse solo messo un po' d'ordine tra i massi che lambivano la prateria. Su un rialzo del pavimento non poteva assolutamente mancare il föc indispensabile per riscaldare, per cucinare e per cagliare il latte. In origine era al centro dell'unico locale e con i suoi bagliori prospettava intorno vaghe reminiscenze di ritualità ataviche. Poi vennero i camini che trovarono più comodo posto negli angoli, anche per dare maggior respiro alle canne fumarie. Ma sempre tra le faville,
che nemmeno riuscivi a inseguire, tanto scomparivano in fretta inghiottite dalla nera fuliggine, prendevano corpo le magiche nenie con cui "i grandi"
provavano la residenza dei più piccoli e a cui non avresti voluto dare ascolto per non incontrare nei sogni quelle presenze da incubo di cui si era fin troppo fantasticato tra l'orgoglio e la paura. Qualche volta, allora… si, provavi davvero angoscia e d'improvviso ti sembrava che tra quelle quattro mura finora ospitali si annidassero vere e proprie ossessioni. Per fortuna anche la stanchezza faceva la sua parte e finalmente prendevi sonno. Ti svegliavi al fresco della brezza che al mattino dipanava gli umidi vapori della notte e a poco a poco tutto ritornava familiare. Uscendo verso il pascolo era comunque rassicurante dare un'occhiata di complicità all'immagine dei santi protettori che per ultimi erano stati effigiati sui muri freschi di calce per invocare ogni benedizione sugli uomini, sulle cose e sugli animali.
Non amava certo il contadino chi si offriva di cambiargli i pesanti secchi di rame con altri di plastica, più leggeri, maneggevoli e senza rischio d'ammaccature. O no …..?! E' ovvio comunque che, quando un considerevole patrimonio va in crisi, sotto ci sono problemi ben più gravi di un semplice disaffezione e tutto non possono risolversi con un colpo di bacchetta magica. La permanenza
attiva dell'uomo in montagna è però un fattore irrinunciabile anche per la salvaguardia di tutto l'ambiente che sta a valle. Forse questo monito, sottolineato dai danni delle recenti alluvioni, darà l'indicazione per reperire i finanziamenti necessari a rendere vivibili le nostre vallate come presidio naturale, sociale e culturale, rivalutando la gestione del territorio senza imporre alla gente di montagna ulteriori gravami oltre
quelli derivanti da una residenza già tribolata per se stessa. Sempre anche questa non sia l'ultima illusione.
Tratto dall'Annuario del C.A.I. alta Valle Brembana di Eliseo Locatelli Sussia abbandono o rinascita. Sussia e' un' antica frazione sopra San Pellegrino Terme raggiungibile percorrendo un'ora di mulattiera.
La storia della Valle Brembana il primo fu Antonio Baroni, la celebre guida di Sussia. Via Mercatorum il Turismo è ambiente, cultura, scoperta e curiosità: le montagne della Valle Brembana. Insediamenti in Valle Brembana vorrei esporre le mie idee riguardo alla popolosità dell'alta Valle Brembana. La nostra Valle Brembana la radio ce l'hanno in pochi, quasi nessuno. Ma la notizia corre subitanea su e giu' per le valli. Monte Cavallo è proprio di una piccola finestrella situata sulla facciata Nord. Vita nel Rifugio Benigni ...è una giornata tiepida, il sole splende e la vista sulle montagne della Valtellina. Vagabondando Brembano cammino, nessuno sulla montagna, nessuno per la Valle Brembana. Le mani sulla roccia se non ero in Grigna, ero in Val Brembana dove i miei avevano una casetta per le vacanze. Il Cervo patrimonio faunistico della nostra Valle Brembana. Riannodando quale vecchio filo fu mentre salivamo per la valle di Armentarga al passo di Valsecca verso il rifugio Brunone. Escursione al Monte Aga ci alziamo di buon ora, la nostra meta quest'oggi è il Monte Aga in alta Val Brembana. Sassi in Valle Brembana la prima volta che mi trovai con le mani sulla roccia fu quando mio padre mi portò sulla "Baroni" al Diavolo. Pagliari, la memoria nella pietra un Borgo Antico, fra i meglio conservati nella sua architettura rustica. Un tuffo nel passato chi in queste poche righe cerca la cronistoria della Sottosezione alta Val Brembana. Antiche vie di Comunicazione parlare ancora oggi della "Via Priula", dopo le numerose ricerche storiche. |