di Gianbattista Gozzi
Il
Monte Cancervo all’ignaro osservatore che percorre la nostra valle, si presenta come un massiccio di roccia insignificante, solcato da stretti canaloni impervi e profonde fenditure di roccia friabile. Quasi privo di vegetazione arborea, anche l’erba stenta a farsi luce sullo strato terroso e roccioso di sedimento!
Ma come tutte le vette, la sua bellezza e la sua pace si svelano solo dopo averne raggiunto la sommità. È qui infatti, che tra pascoli verdeggianti interrotti da dirupi e calanche, si può ammirare un paesaggio quasi idilliaco, altrimenti inimmaginabile. Non stiamo parlando di una vetta eccelsa per altitudine, infatti la sommità misura circa 1835 mt., ma dopo una salita che da qualsiasi tracciato la si compia, impegna ed affanna l’escursionista, il ritrovarsi in una distesa verdeggiante punteggiata da fioriture variopinte, rappresenta una piacevolissima sorpresa. In questo contesto è collocata la "Baita di Cancervo" da noi a San Giovanni Bianco, già conosciuta come la baita del Santino. È stato infatti costui, l’ultimo pastore ad aver condotto questi pascoli, che unitamente al vicino Venturosa, gli permettevano il caricamento di circa 1.500 pecore. Il Santino pastore, dovette interrompere la sua attività a seguito di un malore che lo colpì proprio in questa baita, lasciandolo offeso nel corpo e nello spirito.
Da allora (fine degli anni 80) i pascoli sono rimasti silenziosi, stentano a difendersi dall’avanzata inesorabile della boscaglia, e fortunatamente grazie alla passione ed alla costanza di un allevatore, ora ospitano una mandria di cavalli che contribuiscono non poco alla conservazione dei prati. Dal 1992 la baita di Cancervo è gestita dal gruppo
Volontari del Soccorso di San Giovanni Bianco, che hanno provveduto ad una massiccia ristrutturazione conservativa, ricavandone un locale accogliente per il giorno, con un soppalco che permette anche il pernottamento dignitoso, ed un locale adibito a bivacco, sempre aperto ed attrezzato nel quale è collocata la colonnina di chiamata del 118. Una convenzione con il Comune ne regola l’utilizzo, rimanendo comunque la disponibilità prioritaria per gli alpeggiatori che ne facessero richiesta. La baita è collocata un 200 metri più in basso rispetto alla croce della cima. È doveroso ricordare che tutti questi pascoli, sino alla fine degli anni 60, erano popolati da mandrie di mucche che soggiornavano da giugno a settembre. Essendo una montagna priva di sorgenti d’acqua erano le diverse pozze disseminate in più punti, che abbellivano il pascolo e garantivano una scorta d’acqua sufficiente per tutta la stagione.
Il pioniere di questi monti fu il malgaro Bortolo Danelli che per oltre mezzo secolo alpeggiò su questi pascoli con tutta la famiglia al seguito, com’era usanza a quei tempi. Un sobrio monumento appena fuori dalla baita, posto sull’intersecare dei confini Comunali di San Giovanni Bianco, Camerata e Taleggio, ne testimonia la sua lunga e faticosa permanenza. Ritornando alla nostra narrazione, l’escursione al monte Cancervo si rivela una gradevolissima passeggiata e, come dicevo, qualsiasi itinerario si scelga per salirci, non manca di rivelarsi piacevole, e sorprendente per la sua capacità di avvolgerti ed immergerti nelle viscere della stessa montagna. Per le famiglie è senz’altro consigliabile il “sentiero della vecchia” che condividendo in parte lo stesso tracciato della salita al Monte Venturosa, porta al passo del Grealeggio e da questo “colino”, spartiacque tra i due massicci, si procede con un sentiero pianeggiante sino ai pascoli del Cancervo. Per i più allenati e desiderosi di raggiungere velocemente la vetta, (ci vuole comunque un’ora) c’è il tracciato del “ canalì di sass”, un ripido sentiero mozzafiato che sale in quota attraverso i prati sovrastanti la Brembella (frazione di Camerata) insinuandosi poi in uno stretto budello di rocce e torrioni dalle forme suggestive, per aprirsi a buche rocciose con massi ciclopici avvolti dai pini mughi. Un terzo sentiero con un grado di difficoltà superiore ai precedenti è quello del “canalone” che sale più sud rispetto ai precedenti, lasciando ammirare all’escursionista la bellezza semi-inviolata della “corna Torella”. È questa una lingua verticale di roccia alta una settantina di metri, fu il nostro compianto Bruno Tassis detto “camos” ad aprire ed attrezzare la via sul versante est, superando nel tratto finale un grado di difficoltà classificato 7b+ e successivamente attrezzando anche alcune varianti.
Nessun altro osò ripetere l’impresa, ed alcuni spezzoni di corda tuttora penzolanti testimoniano gli infruttuosi attacchi. Superato questo tratto di salita si arriva allo strappo finale che si inerpica tra le nude rocce, con un camminamento assicurato in più punti da solide catene. Si guadagnano i pascoli dalla parte più bassa, ed attraversando quella che un tempo era una maestosa pozza ( quasi un laghetto) si raggiunge la baita del soccorso. La bellezza e la tranquillità di questa montagna si apprezza in tutte le stagioni; anche con la neve che avvolge ed egualizza i pendii ed i costoni rocciosi, assume un fascino di particolare purezza e sobrietà. Ogni anno, l’ultima domenica di giugno, i volontari del Soccorso organizzano la Festa della Baita, è un appuntamento importante che fa ritrovare in amicizia ed allegria frequentatori assidui, o escursionisti occasionali lasciando in tutti un ottimo ricordo e strappando anche ai meno appassionati di montagna la promessa di un arrivederci. Ed alla sera, spenti gli ultimi cori, cessati i frastuoni, per chi può rimanere, ritorna il silenzio e la quiete rotti solo dal fischio di un camoscio desideroso di attirare l’attenzione, o di una marmotta che riguadagna le sua postazioni di vedetta. È bello in questi momenti immergersi ed abbandonarsi nella tranquillità della natura, godere di quel ritrovato silenzio, aspettare il tramonto del sole oltre la Grigna, vedere accendersi le stelle ed addormentarsi con i versi dell’Infinito “così, tra questa immensità s’annega il pensier mio, e il naufragar m’ è dolce in questo mare”.